Mercoledì 2 marzo 2005

Alle otto siamo tutti in pullman. Il programma della giornata prevede un giro lungo la penisola di Valdés “area natural protegita” nella provincia del Chubut.

Passiamo a casa della nostra guida per prendere un nuovo microfono, poi cominciamo l’avvicinamento. Armando ci spiega  come il particolare clima dovuto alla presenza della cordigliera delle Ande faccia della provincia una zona a scarse precipitazioni, che non compensano nemmeno l’evaporazione. La scarsa vegetazione ad arbusti rende il paesaggio uniforme ed il vento fa il resto: soffia costantemente. Particolarmente temuti sono gli incendi che, alimentati dal vento, moltiplicano le conseguenze distruttive.

La spiegazione si attarda in zone cicloniche ed anticicloniche e gli stessi concetti vengono ripetuti più e più volte servendosi dell’ausilio di alcune cartine che vengono mostrate ai passeggeri del pullman con un pregevole esercizio di equilibrio. Aspettiamo invano che Armando si fermi dopo essere ruzzolato lungo il corridoio.

Il secondo argomento riguarda l’ecologia ed in particolare l’inquinamento provocato dalla fabbrica di produzione dell’alluminio a Puerto Madrin che lavora, alimentata da un enorme elettrodotto che viene dalle Ande, la bauxite che proviene da tutto il mondo.

Ci fermiamo all’ingesso del parco dove é allestito un museo con lo scheletro di una balena di due anni e si trova la caserma per la prevenzione degli incendi.

Armando ha diminuito le smargiassate, ricomincia, ma solo per poco,  quando arriviamo a Puerto Piramides. Si tratta di un piccolo agglomerato di case che vive con la pesca subacquea e l’avvistamento delle balene nel golfo Nuevo. La stagione per gli avvistamenti é ormai passata ed il paese di poche centinaia di abitanti sonnecchia in attesa della prossima stagione.

 

Ci addentriamo nella penisola percorrendo strade sterrate rettilinee a perdita d’occhio. Vediamo sulla destra una delle depressioni della penisola: le Salinas Grandés. Il panorama é sempre uguale: bassi arbusti ed erba secca in un terreno arido e consumato dal vento. Al pascolo pecore e guanachi.

Gli appezzamenti di terreno sono delimitati da staccionate con reticolati. Quando la strada ne incontra uno il reticolato si interrompe ed al suo posto sono disposte per terra una serie di putrelle di ferro disposte trasversalmente. In questo modo i mezzi su ruote possono transitare e gli animali no. Il terreno di una fattoria é diviso in quadras ed il bestiame viene spostato da un appezzamento all’altro prima che il suo sfruttamento provochi un depauperamento della zona.

Arriviamo a Puerto Valdés e alla punta Cantor.

 

Percorriamo un sentiero lungo la costa per scoprire gli elefanti marini. Ne scorgiamo solo uno disteso in riva al mare. Sta riposando immobile e non c’é verso che si sposti per accontentare la nostra bramosia di cineasti alla caccia di immagini.

Mangiamo al self service. Ben organizzato, ci offre una serie di piatti tale da soddisfare ogni esigenze. Annaffiamo la fetta di torta salata che abbiamo scelto con una mezza bottiglia di Chandon, un vino spumante extra brut gran classico “ce se distingue por su delicado y agradable sapor seco”. Preparato nelle zonas privilegiadas de Mendoza (uve pinot noir, chardonnay y sémillon (http://www.chandon.com.ar).

 

Proseguiamo il nostro viaggio, avvistiamo gli Choique, degli uccelli simili agli struzzi ed alle 17 arriviamo a punta Norte, all’estremo nord della penisola. Colonie di leoni marini stazionano sulla spiaggia. I piccoli, guardati dai maschi, aspettano le loro madri che sono andate a pesca nell’oceano. Quando rientrano lanciano una serie di richiami per ritrovare il loro piccolo da sfamare.

Tutt’attorno uccelli, armadilli e guis, una specie di scoiattoli senza coda che vivono in tane scavate nel terreno.

Una troupe di Raitre aspetta l’arrivo delle orche. Saliamo sul pullman per rientrare e, quando siamo pronti per partire, l’allarme: “Sono arrivate le Orche!”

Scendiamo di nuovo dal pullman e ci accontentiamo di scorgere alcune pinne lontano nell’acqua affiorare di tanto in tanto. Ma l’emozione é grande.

Cominciamo il viaggio di rientro e dopo quasi tredici ore e quattrocento chilometri arriviamo in albergo per la cena. Supa, milanes con cheso e vino Mabec.

Breve passeggiata per il centro di Trelew e poi a letto. Domani ci aspetta una nuova giornata altrettanto impegnativa.

 

Giovedì 3 marzo 2005

Quando suona la sveglia alle otto e un quarto siamo già tornati dalla colazione. La partenza per il giro é fissata per le 9,30. Bagagli fuori dalla porta e una breve passeggiata verso il vicino supermercato per acquistare l’acqua minerale e fare una telefonata a casa.

La città, come tutte quelle che abbiamo visto, é divisa in quadras col lato uguale e le strade si intersecano perpendicolarmente. Le costruzioni, per lo più ad un piano, sono diverse le une dalle altre senza un minimo di ordine. Molto spesso sono costruite sul confine della proprietà e quella accanto non occupa la stessa volumetria. Così molti muri, non intonacati, restano nella vana attesa che dalla parte opposta ne venga costruito uno a fianco.

Qui si costruisce un poco alla volta, quando si hanno i soldi per pagare i materiali.

Il traffico é scarso e le macchine assomigliano più a rottami che ad automobili. I carrozzai non debbono fare grossi affari da queste parti.

Ci dirigiamo verso punta Tombo. Per arrivarci dobbiamo percorrere centodieci chilometri di strada bianca.

Il panorama é sempre uguale. Sterpi, erba e bassi cespugli. Ogni tanto qualche animale scappa all’arrivo del pullman.

Prima sosta all’ingresso del parco alle 12.

Il souvenir che riscontra più successo é il pinguino di peluche di varie dimensioni.

Ancora pochi chilometri e il pullman si ferma in prossimità della riva del mare.

Il percorso che possiamo fare é delimitato da fili metallici, e i pinguini, che cercano riparo dal sole sotto gli arbusti o si rintanano nelle buche che hanno scavato, ci passano a pochi centimetri.

L’area che occupano é molto grande e adesso non sono così numerosi come in dicembre o gennaio. Vengono qui a riprodursi da settembre ad aprile, poi quando i piccoli sono in grado di nuotare partono e stanno in mare a cacciare.

Ciò nonostante, dispersi qua e là, o radunati davanti alla riva, ce ne sono alcune migliaia.

 

Ciascuno di noi si sbizzarrisce a fotografare gli animali nelle più svariate pose ma la ripresa più ricercata é riprenderli mentre camminano con la loro buffa ed impacciata andatura.

Poco più in là in mare due grossi uccelli si contendono il corpo di un pinguino che hanno appena ucciso.

L’odore degli escrementi é acre ed intenso.

Fa caldo, ci sono più di trenta gradi, anche se il cielo é coperto. Si suda copiosamente ma l’evaporazione é immediata.

Rientriamo al pullman. Il motore non parte. Un morsetto difettoso o una batteria esausta non fanno girare a sufficienza il motorino di avviamento.

E’ la terza volta che il mezzo si guasta. Ieri prima slittava una cinghia e l’autista si é fermato a tenderla, poi qualcosa non andava nell’asse anteriore e, infilata la tuta, si é sdraiato sulla strada per stringere un bullone. Non c’é due senza tre: adesso siamo fermi.

C’é un altro pulmino nel parcheggio. Gli autisti stabiliscono un collegamento fra gli impianti elettrici.

I cavi ci sembrano troppo sottili ma reggono ed il motore riparte. Ora l’autista non lo spegnerà più fino al rientro alla rimessa, dopo averci accompagnati all’aeroporto.

Percorriamo una strada diversa rispetto all’andata, diretti al villaggio gallese di Gayman che si trova sul fiume Chobut.

In Patagonia il nome di ciascuna provincia deriva dal principale fiume che la attraversa, tranne per la provincia della Terra del Fuoco.

Nel 1865 é giunta qui una colonia gallese. Minatori che avevano intenzione di trasformarsi in agricoltori. Dopo alcuni anni di attesa vana della pioggia, Rebecca Morgan ha costruito una serie di canali per irrigare il terreno e renderlo fertile. Giunti davanti alla valle scorgiamo alberi e campi lungo il fiume.

Ora hanno sviluppato un’attività turistica che consiste nell’offrire una merenda col té accompagnato da dolci e stuzzichini salati. Il locale che ci ospita é il Ty Gwyn. Tutto per 18 pesos a persona.

Un breve giro per le strade del paese. Le case sono tutte ad un piano ed attorno si trovano pioppi e salici. Le strade, col fondo in cemento, sono straordinariamente larghe per un paese così piccolo.

Alle 17,30 ripartiamo, Trelew é vicina e alle 18,15 siamo davanti all’albergo per riprendere le valige.

Armando ci accompagna all’aeroporto e ci saluta. Oltre alla tendenza a fare lo spiritoso a tutti i costi, anche l’impianto di amplificazione non lo aiutava. Se la ventilazione dell’impianto di condizionamento era accesa, in metà del pullman non si sentiva nulla. Per ascoltare dovevamo spegnerla e così tutti avevano un motivo in più per sperare che le spiegazioni fossero brevi.

Alle 19,15 ci imbarchiamo in un Boeing 737. Alle 19,45 decollo per il quinto volo, ci aspettano due ore per arrivare a Buenos Aires.

Il nostro volo dura meno del previsto. Balliamo per correnti in quota che spingono l’aereo che comincia a scendere prima delle 21,30. E’ buio e ci appaiono le luci della città che si stendono a perdita d’occhio.

L’aeroporto per i voli interni é vicino al centro, sulla riva del Rio della Plata. In pochi minuti siamo in albergo, così appena alle 22,30 ci viene servita la cena che, per la seconda volta, era prevista a mezzanotte.

La scelta dei vini nel ristorante dell’hotel El Conquistador é anche oggi  ridicola. Non esiste una carta. Sul tavolo di servizio sono disposte sei bottiglie grandi di due qualità e quattro piccole di un’altra qualità. Il Malbec che ci servono é appena passabile, in compenso é uno dei più cari fra quelli che ci hanno servito.

Come piatto di entrata una fetta di un tortino di spinaci e ricotta, poi il solito tondino di carne arrostita e tagliata a grosse fette accompagnata da un flan a due strati con diverse tonalità di giallo. Una fetta di gelato con cioccolata fusa chiude la cena.

 

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