Giovedì 24 febbraio 2005

Alle quattro e tre quarti siamo già svegli, prepariamo i bagagli e saliamo per fare colazione. Alle 6,45 partenza. Siamo tutti puntuali.

Facciamo il check-in in un’ala dell’aeroporto, poi ci dirigiamo in un’altra per imbarcarci. Cerchiamo di cambiare altri euro. Ci é stato detto che la quotazione del cambio é di 3,70 pesos per un euro. Appena arrivati abbiamo cambiato spuntando 3,36 pesos per euro, ora ce ne offrono 3,45. Indispettito decido di aspettare un’offerta migliore.

Saliamo su un airbus 310. L’aereo diretto a Ushuaia farà scalo a El Calafate, nostra meta che é punto obbligato per raggiungere i ghiacciai del lago argentino.

Leggiamo nella guida che la città, fondata nel 1927, é una vera trappola per turisti. In passato era una stazione di posta per il trasporto della lana. Adesso é il punto di partenza per i turisti che visitano la zona. Il giudizio che dà la guida é pessimo: luogo di predoni approfittatori.

Atterriamo e alle 13 partiamo in pullman per la città. La popolazione cresce vorticosamente, in dieci anni é raddoppiata. Adesso si contano dodicimila abitanti che lavorano in prevalenza per il turismo.

Il nome della città el Calafate deriva da un cespuglio locale con fiori gialli e bacche viola. I predoni di un tempo sono cambiati ed usano un marketing meno aggressivo che tende a lasciare un buon ricordo per una maggiore promozione dei luoghi.

 

Splende il sole ma soffia un vento pungente che asciuga ogni cosa.

Il terreno é brullo e vi crescono solo pochi arbusti. Solo attorno alla città vediamo degli alberi che sono stati piantati dall’uomo.

Un seme, col vento che c’é, stenta ad attecchire, il resto lo fa il gelo invernale.

Siamo a 2730 chilometri da Buenos Aires. Scopriamo che il programma é cambiato ed avremo qui due mezze giornate libere. Allora perché svegliarci alle cinque del mattino? Non esisteva un volo diverso che ci consentisse di rimanere un’altra mezza giornata nella capitale? Contiamo su Daniela per riempire i tempi morti.

La città é piena di cani lasciati liberi, che non hanno un padrone fisso. Girano per le strade come i veri padroni del luogo. Sonnecchiano beati sdraiati per terra e accompagnano la gente per strada. La nostra guida li definisce “cani turistici”. Paolo precisa meglio il concetto dicendo che sono “guide turistiche a quattro zampe”.

Dopo l’assalto per la conquista della chiave della propria stanza, usciamo per andare a mangiare.

Le signore scelgono la pizzeria “Casablanca” che si trova all’angolo della strada principale con quella che porta al nostro albergo. Abbiamo qualche difficoltà a realizzare quanto grandi siano le pizze. Il menù specifica due diverse misure e decidere quante ordinarne per otto persone é difficile. Aggiungiamo all’ordinazione tre insalate miste.

Paolo diligentemente copia dal menù le portate scelte su un foglietto e ne indica la quantità richiesta. Quando il cameriere viene a prendere le ordinazioni, non crede ai suoi occhi vedendo il foglietto già compilato. Fa un gran sorriso e conclude dicendo che Paolo conosce bene lo spagnolo!

Prima delle pizze il cameriere porta due ciotole di insalata dicendo che ha finito l’acciuga. Se va bene lo stesso il prossimo piatto lo porterà senza. Il senso di disgusto serpeggia fra di noi ed appare sui visi di ciascuno. C’é chi si affretta a scegliere l’insalata senza la famigerata acciuga.

Mio genero, che conosce bene lo spagnolo mi ha sempre raccomandato di non cercare di tradurre una parola secondo la somiglianza letterale o fonetica con la corrispondente parola italiana: le sorprese possono essere grandi.

Arriva il piatto di insalata senza la “leciuga”. E’ composto di soli pomodori e cipolle, manca la lattuga.

La delusione di chi ha creduto di operare la migliore scelta appare evidente ma si risolve in una fragorosa risata.

Una breve passeggiata, telefoniamo a casa da un locutorio (posto telefonico pubblico), compriamo una maglietta con il disegno di graziosi pinguini e ritorniamo in albergo per un breve riposo.

L’appuntamento con Daniela é per le cinque. Ci porta nel parco municipale della Laguna Nimez, dove é possibile ammirare da vicino varie specie di uccelli acquatici.

Sembra siano abituati alla presenza dei visitatori e non si curino della nostra presenza, anche perché non possiamo, anche volendo, avvicinarci. Il terreno umido impedisce ogni possibile accesso. Il panorama illuminato dal sole basso sull’orizzonte é incantevole e sembrano persino belle le colline brulle che contornano la piccola città.

Alle venti cena al Toma Wine. Occupiamo per intero il locale. Ci servono un’insalata di pollo e dell’agnello in umido con patate e piselli. Betta che pregustava l’annunciata bruschetta é rimasta delusa. Anche qui abbiamo qualche difficoltà ad ordinare il vino. Le bottiglie che ci vengono proposte sono care e con vini rossi invecchiati parecchi anni: un bel vino giovane e fruttato sembra che non esista.

Terminiamo la serata alla ricerca della croce del sud, vanificata da una magnifica luna piena che é appena sorta all’orizzonte.

 

Venerdì 25 febbraio 2005

Sveglia alle 6,30, colazione e alle 7,30 tutti puntuali sul pullman.

Siamo preparati al peggio. Abbiamo l’attrezzatura per qualsiasi tempo possa fare.

La nostra guida Maria Florencia Bina ci ha detto che qui le condizioni metereologiche sono molto instabili e possono cambiare da un momento all’altro.

Dobbiamo percorrere cinquanta chilometri per arrivare a Puerto Bandera dove ci imbarcheremo per la navigazione sul lago Argentino.

La strada corre davanti a colline brulle, ricoperte solo da pochi arbusti.

Proseguendo, là dove la collina é riparata dal vento appaiono i primi alberi. Il vento in queste zone é una presenza costante e spira quasi sempre da ovest verso est.

Florencia approfitta per darci tutte le informazioni sul mate, vera e propria bevanda nazionale.

Viene preparato in una zucca vuota versando dell’acqua calda sulle foglie tostate e sminuzzate. Si incarica del procedimento il servador che, una volta preparato il primo infuso, che é troppo forte per essere servito ad altri, lo beve servendosi di una cannuccia che ha funzioni di filtro. Terminato il primo infuso versa dell’altra acqua e offre man mano la bevanda. Ognuno beve tutto il liquido contenuto nella piccola zucca e la restituisce al servador che aggiunge altra acqua per preparare altro mate, che può bere o può offrirlo ad altri.

Il mate si beve in compagnia ed offrirlo ad altri é un segno di amicizia. Può essere offerto ma non può essere rifiutato.

Sembra una “grolla patagonica”.

In meno di un’ora raggiungiamo il porto senza difficoltà. Il traffico é pressoché inesistente.

Al molo sono ormeggiati due grossi catamarani, uno di fianco all’altro ed una lunga fila si persone é in attesa di imbarcarsi. Prendiamo posto a bordo. Le barche possono portare 380 persone e sono piene. Alle nove, mollati gli ormeggi, partiamo.

 

Navighiamo controvento e sul ponte della nave si sta solo se si é ben coperti. Attraversiamo la Boca del Diablo e navighiamo lungo il Brazo Orte. All’apparire del primo blocco di ghiaccio, l’eccitazione a bordo sale alle stelle. Anche se si tratta di un blocco piccolo ed ormai consumato, tutti si precipitano a fotografarlo come se si trattasse di una scoperta unica.

Poi il numero dei blocchi aumenta. Il colore azzurro della luce che li attraversa é bellissimo e contrasta col resto del panorama.

Siamo nel Parque Nacional Los Glaciares. Gli alberi sono più alti e, anche se sono contorti dal vento, hanno una rigogliosa chioma verde scuro.

C’é chi non ha abbandonato un attimo la ventosa postazione all’esterno e continua a fotografare ogni cosa che vede. La giornata é bella e si vedono sprazzi di cielo azzurro.

 

Entriamo nel Brazo Spegazzini alla cui estremità termina l’omonimo ghiacciaio. Il fronte di ghiaccio sulle acque del lago é alto parecchie decine di metri e lo spettacolo é affascinante.

Il comandante fa girare parecchie volte il battello su se stesso a poche centinaia di metri dal ghiacciaio per permettere a tutti di ammirare lo spettacolo.

Torniamo indietro e ci dirigiamo verso il ghiacciaio Upsala che ha un fronte largo più di nove chilometri ed una lunghezza di oltre sessanta.

Qui si staccano blocchi più grossi e non possiamo avvicinarci come nell’altro ghiacciaio. Il lago sembra un’enorme granita. Ultima tappa la Baia Onelli dove il catamaran Serac attracca alle 14,30 e ci dà appuntamento per il ritorno alle 17.

Il nostro tour prevede il pranzo nel ristorante poco lontano. Vellutata di piselli e carne alla brace con patate. Dalla cucina escono piatti sempre uguali e chi ha chiesto una cottura particolare resta senza, in attesa di una bistecca che non arriva. Alla fine il piatto con cottura diversa arriva, ma é uguale agli altri.

Una breve passeggiata a piedi attraverso i boschi per raggiungere il lago Onelli. E’ vietato fumare, non possiamo abbandonare il sentiero, buttare rifiuti o raccogliere alcunché.

Siamo all’interno di un parco nazionale e tutto deve rimanere dov’é. Gli alberi caduti non vengono tolti, vengono lasciati a marcire sul posto. Sembra di passare in un cimitero arboreo più che in un bosco. Sembrano più i tronchi caduti di quelli che rimangono in piedi.

Raggiunto il lago possiamo ammirare tre ghiacciai che terminano nell’acqua (Onelli, Bolado e Agassiz). Torniamo rapidamente sui nostri passi per raggiungere la barca.

Ci hanno minacciato dicendo che chi ritarda rimane qui fino a domani, quando ritornerà il catamarano e, anche se il posto é suggestivo, nessuno vuole passare qui la notte.

Durante il rientro la foga fotografica é diminuita. La maggior parte dei passeggeri occupa i posti interni a sedere e riposa.

Alle 19 attracchiamo e alle 20 il pullman ci scarica in albergo.

Non sappiamo cosa ci ha preparato il ristorante. Questa sera dovrebbero esserci i cannelloni. Ma visto che ieri il menù previsto non é stato rispettato, temiamo di dover mangiare nuovamente carne. Purtroppo é così.  A distanza di sei ore ci propinano altri tre etti di carne alla brace. Temiamo che alla fine del viaggio i nostri canini saranno diventati come quelli di un felino.

 

Sabato 26 febbraio 2005

Sveglia alle sette e mezza e alle nove tutti sul pullman. Fatichiamo un poco a sistemarci. Non ci sono posti liberi perché le guide devono essere due e la seconda si é portata un assistente. Percorriamo la stessa strada di ieri e, giunti nei pressi del puerto Banderas, giriamo a sinistra percorrendo il lato sud della penisola di Magellano. Cominciamo a vedere il Brazo Rico del lago Argentino.

Comincia la foresta patagonica (bosco andino magallanico) composta principalmente da tre tipi di alberi della famiglia dei faggi. Lenga (notofagus pumilio), Ñire (notofagus antartica) e da Coihue o Guindo (notofagus betuloide) Il loro tronco, con una spessa corteccia, si assomiglia, differiscono per la forma delle foglie che sono sempre minuscole (una tonda, una a tre punte, una appuntita). Abbarbicate ai rami ci sono piante parassite. Alcune formano una  palla verde-gialla (llao llao), altre un ciuffo bianco (barba de viejo).

Ci fermiamo per pagare il biglietto di ingresso al parco. Fermo di fianco a noi c’é uno strano veicolo: é un incrocio fra un camion ed un autobus.

Scopriamo che é un pullman che, quando viaggia, trascina anche un rimorchio in cui sono ricavate delle cuccette per passare la notte. E’ un tour organizzato da una compagnia tedesca. Il giro completo della Patagonia dura 24 giorni.

Ci ricordano che nel parco é vietato fumare tranne in pochi luoghi e qui non dobbiamo buttare le cicche per terra. Ai fumatori vengono distribuiti, come portacenere, i contenitori in plastica dei rullini fotografici. Un ottimo esempio di riciclo paraecologoco.

La nostra guida ci fa notare un gruppo di alberi vicini alla riva del lago, tutti secchi. Inoltre le sponde presentano, sopra il livello dell’acqua una fascia senza vegetazione, come se si trattasse di un lago artificiale con un regime di altezza delle acque variabile.

In un lago naturale il livello non dovrebbe variare così tanto.

Il fenomeno é causato dal formarsi di una vera e propria diga naturale temporanea.

Il ghiacciaio Perito Moreno scende nel lago davanti alla punta della penisola di Magellano. Si verifica periodicamente che la velocità di discesa del ghiacciaio aumenti e nel contempo diminuisca la rottura in blocchi. Succede così che lo stretto passaggio fra il ghiacciaio e la terra si ostruisce e una parte delle acque del lago non trova più sbocco. Il livello aumenta, sino a che la pressione diventa così forte da provocare l’apertura del tappo. Alla fine il ponte di ghiaccio rimasto cade in modo spettacolare. Il fenomeno, avvenuto l’ultima volta nel 2004, viene denominato “ruptura del glaciar perito moreno”. La diga può durare pochi giorni o più anni. Il livello dell’acqua si alza in modo diverso ogni volta. Nel caso di un lungo periodo, il livello cresce così tanto, che le acque possono far annegare intere porzioni di bosco.

Florencia definisce l’acqua del lago, di un colore verde grigio, latte glaciale.

 

Fatti pochi chilometri appare il ghiacciaio sormontato da un arcobaleno. Siamo impazienti di fotografare il fenomeno e chiediamo a gran voce di far fermare il pullman. Lungo la strada sterrata é proibito fermarsi. Poco più avanti c’é una piazzola per poter dar sfogo al nostro entusiasmo.

Di nuovo sul pullman, poi finalmente eccoci davanti alla cataratta. Il fronte del ghiacciaio é alto 60 metri fuori dal pelo dell’acqua ed ottanta sotto. Di tanto in tanto si staccano pezzi di ghiaccio che con fragore precipitano nell’acqua. Cerco di riprendere il fenomeno ma non é facile. Dopo aver aspettato invano vari minuti con la telecamera accesa, la spengo ed ecco che proprio allora si stacca un lastrone.

Mi consolo rendendomi conto che é molto più emozionante osservare il ghiaccio che precipita ad occhio nudo, invece di farlo attraverso il mirino della telecamera.

Scendiamo lungo un sentiero che porta a varie terrazze poste a diversi livelli e risale dalla parte opposta formando un percorso circolare.

Lungo il sentiero notiamo degli arbusti di notro fioriti con bellissimi fiori rossi (ehbothrium loccineum)

Saliamo di nuovo sul pullman e ci fermiamo per il pranzo a Onde Chacho. Il nostro tour operator locale, Tiempo Libre, ci ha prenotato qui il pranzo e ci consiglia di scegliere fra tre piatti sempre pronti: minestrone, scaloppine di vitello o il locro, una zuppa fatta con mais salciccia e pancetta. Florencia ce ne fa portare un assaggio, ci piace e decidiamo di mangiare il piatto che é tradizionale per le feste nazionali.

Riprendiamo il pullman e riattraversiamo la penisola di Magellano scendendo dalla parte opposta. Qui si trova l’imbarco per la minicrociera vicino al fronte sud del ghiacciaio.

Il vento soffia impetuosamente e fatichiamo a stare in piedi sopra la coperta della barca.

 

A ridosso del ghiacciaio che ci protegge, il vento si placa e riusciamo a godere tranquillamente lo spettacolo. Prima rimaniamo delusi dall’inerzia del ghiacciaio, poi all’improvviso, alla nostra destra, un blocco di ghiaccio cade con fragore sollevando alcune onde.

Finalmente Betta é riuscita a vedere la caduta del ghiaccio e si dichiara soddisfatta, mentre prima era rimasta delusa di non essere riuscita a vedere i blocchi più piccoli che si erano staccati durante la mattinata.

Rientriamo alla baia di partenza planando sull’acqua a grande velocità sospinti sia dai motori del catamarano sia dal vento in poppa.

Durante il ritorno in città nessuno ha voglia di parlare il pullman é silenzioso e stanco. Tutti stanno sonnecchiando.

Il sole brilla ancora alto sull’orizzonte ed illumina un paesaggio fantastico.

Prima delle 17 raggiungiamo l’albergo. Facciamo una passeggiata per telefonare a casa e tentare di cambiare la valuta. Alla macchina del bancomat non riusciamo a comprendere quale sia la giusta sequenza delle scelte da effettuare e rinunciamo. L’ufficio del cambio apre solo alle 18. Verifichiamo dove si trova la chiesa e l’orario della messa di domani e torniamo all’ufficio del cambio che nel frattempo ha aperto, ma una fila di oltre trenta persone aspetta il proprio turno. Dopo un’attesa di quaranta minuti riesco a cambiare con una buona quotazione e senza commissioni. Forse queste erano le difficoltà di cui parlava la guida.

Alle 20 siamo al ristorante. Ci servono i fantomatici cannelloni che aspettavamo da due giorni ed una abbondante insalata, il tutto preceduto dalla bruschetta.

Senza carne il terzo pasto ci sembra il migliore. Ci consegnano i diplomi e le fotografie di gruppo, poi un party al numero quaranta per terminare la serata col bicchiere della staffa.

 

Domenica 27 febbraio 2005

Sveglia libera, abbiamo la mattinata a disposizione. Per parte del gruppo l’agenzia locale ha organizzato una visita in una estancia con una dimostrazione della tosatura delle pecore e di guida del gregge con i cani. Noi abbiamo preferito rinunciare per tornare a visitare la laguna e poter assistere alla messa.

Lasciato l’albergo facciamo un percorso diverso da quello fatto ieri per raggiungere la laguna ed abbiamo qualche difficoltà per ritrovare la strada. Nell’incertezza chiedo alla prima persona che incontro: “una pregunta por favor u està la laguna?” Riesco ad ottenere le giuste indicazioni e mi sento un poliglotta.

Arriviamo all’ingresso della laguna e lo troviamo chiuso. Sono le dieci e cominciamo a temere che la domenica non apra.

Pochi istanti di delusione e arriva l’inserviente che ci fa entrare: siamo i primi. Gli animali, non ancora infastiditi dalla presenza dei turisti sono vicini al sentiero e riusciamo a fare delle riprese da vicino con la luce favorevole.

Quando manca un quarto d’ora alle undici, ripercorriamo velocemente la strada fatta e raggiungiamo la parte opposta del paese dove si trova la chiesa. La messa dura a lungo. Abbiamo dato appuntamento agli altri amici per le 12,30 e riusciamo arrivare alla pizzeria Casablanca puntuali.

Alle 14,30 saliamo sul pullman diretti all’aeroporto. Florencia risponde cortesemente alle nostre ulteriori curiosità e ci racconta una leggenda sulla nascita della pianta del calafate e di come chi abbia assaggiato il suo frutto sia destinato a ritornare. Arrivederci Florencia!

Arrivati all’aeroporto cominciamo ad aspettare l’aereo per il nostro terzo volo diretti a Ushuaia. Dopo due ore di attesa prendiamo posto su un MD 80. Il gruppo è sparpagliato qua e là e l’aereo è, come al solito stracolmo.

Con un’ora di ritardo atterriamo alle 19,30.  Le montagne attorno al canale di Beagle sono ricoperte di neve. Il sole al tramonto illumina l’aeroporto. Recuperiamo con fatica i bagagli. Il fabbricato è minuscolo e il nastro trasportatore che ce li riconsegna è cortissimo. Il pullman ha un bagagliaio piccolo e carichiamo le valige in un secondo automezzo. Ci dà il benvenuto Iris, la nostra guida locale. Un breve tragitto ed arriviamo all’hotel Los Ñires, un albergo di nuova costruzione in una zona di espansione piena di cantieri a sei chilometri dal centro. Soffia un vento forte e la bassa temperatura sembra ancora più rigida.

Cena con una vellutata di asparagi liofilizzati. Simonetta ogni volta che arriva una portata esclama: “Ma che cos’è questa puzza?” L’immancabile bistecca per secondo e per finire un’ottima macedonia di frutta fresca.

Ordiniamo prima una bottiglia di chardonnay e poi una di champagne destando la sorpresa del cameriere che prima non crede ai suoi occhi,  poi scherza, dandoci per il conto un costo per la bottiglia decuplicato.

Ma la presa in giro non gli riesce, siamo stati ben attenti ai prezzi prima di ordinare la bottiglia. Alla fine paghiamo l’equivalente di quindici euro in quattro di extra.

Usciamo un momento per tentare di fare una foto al cielo stellato ma non ne vale la pena, le nuvole coprono in parte la luna e le stelle. Fa un freddo tale che riusciamo a stare fuori solo pochi minuti.

Nell’albergo funziona un collegamento internet a gettone. Ne approfittiamo per inviare messaggi e poi tutti a letto per prepararci ad affrontare l’intenso programma di domani.

 

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