Sabato 15 febbraio 1997
"Con te conciata in quel modo non parto!"
Non é passata neanche mezz'ora dal ritrovo, fissato per le 13, della lieta compagnia all’aeroporto di Bologna: Adriano e Bianca Pezzini, Vasco e Clara Monti, Giovanni ed Elisabetta. Quest'ultima ha tirato fuori dalla borsa due catene d'oro massiccio che porta abitualmente e se le é messe
"Non ho nessuna intenzione di passare il tempo a farti da guardia" spiega Giovanni minacciando di restare a Bologna.
La lite sale di tono e diventa furibonda, poi Elisabetta pensa ai quattrini già pagati e..... tutti riescono a partire, dopo aver consegnato le catene d’oro di Elisabetta a Luca, amico della figlia dei Pezzini che li ha accompagnati all'aeroporto, affinché le riponga nella cassaforte del loro negozio di oreficeria. Lì staranno più al sicuro di quanto avrebbero potuto stando appese al collo di Betta.
Volo Bologna Roma regolare, all’aeroporto di Roma cominciamo l'attesa davanti all’uscita per l’imbarco del volo che ci porterà al Cairo. Solo cinque minuti prima dell’imbarco vediamo la hostess della Rallo Viaggi che ci informa che troveremo un loro incaricato ad aspettarci all’aeroporto di arrivo. Alle 17,55 decollo. A bordo non sediamo vicini... pazienza! Avremo tempo per chiacchierare durante il resto del viaggio. All’aeroporto del Cairo incontriamo Roberta, la nostra accompagnatrice, molto carina, é di Mestre, ha sposato un egiziano e vive nella capitale dell'Egitto da due anni.
L’albergo é diverso da quello previsto ma comodo perché vicino all’aeroporto. Al nostro arrivo si sta svolgendo il ricevimento di nozze di due coppie di sposi con amici e parenti. Gli sposi vengono accolti con un rituale di danze e canti: il frastuono é grande e lo spettacolo inconsueto. |
Domenica 16 febbraio
Sveglia alle ore 4,45, colazione alle 5,15, ore 6 partenza per Aswan. Dall’aereo cominciamo a renderci conto della conformazione del paese, tutto é deserto tranne una stretta striscia al fianco delle rive del Nilo. l’aeroporto ha una sala per il ritiro dei bagagli molto piccola ed il tappeto scorrevole su cui vengono poste le valige ha un tratto a disposizione per il riconoscimento solo da un lato e molto breve. Sull’aereo eravamo circa quattrocento persone, l’operazione si presenta difficoltosa per la ressa che si forma. Le nostre valige vengono portate direttamente alla nave mentre si incomincia la visita ai monumenti. Prima tappa alla grande diga che, costruita negli anni 70, ha formato il grande lago Nasser, poi alla precedente diga costruita nel 1911, che si trova a valle della nuova ed é più piccola. Quindi visitiamo il tempio di File che si trova su un’isola. Abbiamo preso delle barche. Il tempio di File é enorme, si trovava in origine su un’altra isola, dopo la costruzione della prima diga veniva sommerso per quattro mesi all’anno. Con la costruzione della grande diga é rimasto sommerso per tutto l’anno. E’ stato smontato e ricostruito su un’isola vicina salvandolo definitivamente dall’acqua del lago che c’é fra le due dighe.
La tappa successiva ci porta a visitare una cava di granito rosa con un grande obelisco incompiuto. Abdul, la nostra guida ci spiega che, scelto il blocco di granito, veniva separato dalla montagna scavando lungo i fianchi. Si provocava il distacco del pezzo servendosi di legno di sandalo che, introdotto nelle fessure scavate, veniva bagnato ogni giorno. Il legno si dilatava e la roccia si fessurava nel punto voluto. Il blocco che vediamo é stato abbandonato perché la pietra é crepata in un punto non voluto durante la lavorazione. L’obelisco poi veniva levigato inciso e portato con le barche lungo il fiume durante la stagione delle piene. I venditori locali offrono un rudimentale violino a due corde che solo loro riescono a suonare con maestria.
Pranzo sulla nave "Nile Jewel": maccheroncini con prosciutto cotto e besciamelle, coscia di pollo ripiena (un po’ cattivina!) contorno di patate, carote, fagiolini lessati, arance e datteri.
Nel pomeriggio dopo un sano riposino, alle 16,30 partenza per la gita in feluca attorno all’isola elefantina con vista del mausoleo dell’Aga Kan e dell’orto botanico.
Viaggio piacevole e distensivo con qualche imprevisto per una delle due feluche del gruppo: una feluca ci supera sottovento agganciando il boma; poi un’altra feluca man mano si accosta e, essendo più veloce perché meno carica, ci costringe a sinistra del canale verso un passaggio obbligato fra la riva ed una secca. Un barcone a motore proveniente dalla direzione opposta incurante ci sperona. Panico, trambusto ma nessun danno. La navigazione termina, senza vento, a remi con Giovanni alla barra che pilota l’attracco.
Il ritorno a piedi alla nave avviene passando per una strada parallela al lungo Nilo dove c’é il mercato. Spese pazze: una tovaglia gialla (che ordiniamo perché ci venga recapitata sulla nave il giorno dopo. La pezza deve essere tagliata e gli orli rifiniti), due galabie (vestiti locali per partecipare alla festa della sera dopo, spezie, tre sciarpe nubiche. Usciamo dal mercato assediati da petulanti venditori e bambini questuanti.
Cena molto ricca con pesce squisito, una potage con (sic!) funghi, tutto annaffiato da un ottimo pinot, vino bianco locale. A letto presto perché il programma del giorno dopo é impegnativo.
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Lunedì 17 febbraio
Sveglia alle ore tre del mattino, colazione ottima alle ore 3,30 temperatura esterna quattro gradi centigradi.
Ore 4 partiamo in bus per raggiungere i templi di Abu Simbel distanti 280 chilometri da Aswan. E’ buio pesto la strada é rettilinea in mezzo al deserto. Si tratta di una strada di confine che viene presidiata. E’ piena di buche ed il conducente é costretto ad una serie di serpentine per evitarle, si tiene quasi sempre sulla sinistra e viaggia a 100 km. orari quando i cartelli avvertono di non superare i 60. Dopo due ore assistiamo all’alba, il cielo é senza una nuvola: qui non piove mai.
Alle ore 7,30 arriviamo a destinazione e visitiamo i due templi. E’ impressionante la marea di persone presenti anche se sono solo le prime ore del giorno ed il periodo non é di alta stagione. L’esterno dei templi é maestoso e l’interno bellissimo, ha ancora i colori originali ed in alcuni punti appaiono ben conservati. Stupisce ed incuriosisce le signore la rappresentazione del dio fallico Min e spinge la fantasia a confronti imbarazzanti. D’altra parte non si può certo competere con un dio. Qualcuno si chiede se gli Egiziani abbiano avuto contatti con le popolazioni della Sicilia. "Min...chiaro che ne hanno avuti!" La visita si conclude con il passaggio all’interno della cupola di cemento armato che regge il rilevo costruito a protezione dei templi che sono stati spostati per preservarli dall’innalzamento delle acque dovuto alla costruzione della nuova diga. (da un’altezza di 120 metri sul livello del mare sono stati portati a 170). Ripartiamo alle 10. Lungo la strada del ritorno é ben visibile il fenomeno dei miraggi nel deserto: la sabbia appare, guardando verso l’orizzonte, come una grande distesa d’acqua. Prima abbiamo incontrato un gruppo di cammellieri con un branco di dromedari. Non sono ancora domati e perché non possano scappare (non esiste nulla a cui legarli nei paraggi), Viene ripiegata una gamba anteriore e legata in modo che non possa essere appoggiata a terra.
Ritorniamo alla nave alle 12,50 e salpiamo alle 13,30. Inizia la navigazione sul Nilo. Subito le signore si sdraiano al sole come lucertole e si addormentano. Alle 17, mentre a bordo stanno servendo il tè attracchiamo a Kom Ombo. Visitiamo il tempio che si trova, in linea d’aria a 50 metri dalla nave. E’ un tempio dedicato al dio Oros (falco) ed al dio coccodrillo ed ha tutto doppio, l’entrata e il sacrario. La guida spiega come i sacerdoti, attraverso appositi cunicoli, raggiungessero i luoghi della preghiera per dare il responso del dio. Nel tempio venivano curati molti malanni e si praticava una medicina con specialisti per ogni singola parte del corpo. Sono raffigurati nei bassorilievi degli strumenti medici e una donna in posizione seduta per partorire. A fianco del tempio vi é un pozzo che serviva a misurare l’altezza delle piene per determinare le tasse da imporre nell’anno: più alta era la piena più grande era la superficie coltivabile e maggiore il raccolto. Abdul ci spiega il perché di deturpazioni fatte in tempi successivi. Esistono, e vi erano anche a File, dei solchi sulla pietra che somigliano ad uno scavo a forma di cucchiaio allungato. Sono stati fatti dalle persone che, vissute nei templi ormai abbandonati dal culto pagano, arrotavano i coltelli sulla pietra arenaria. Altri fori sono stati praticati per ricavare una specie di anella rientrante nella pietra a cui legare il bestiame. Molte figure sono state martellate in epoca paleocristiana perché in questo modo l’anima del defunto non potesse vivere la vita dell’aldilà.
Partenza, festa a bordo in costume locale (galabia-party) con cena e giochi (corsa della patata, ruba cappello, formazione di gruppi di persone con numero chiamato a sorpresa ecc.) poi, dopo 20 ore insonni, tutti a letto.
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Martedì 18 febbraio
Ore 6 sveglia. La nave é già attraccata a Edmu dalla sera prima ove é giunta alle 22. Sempre la sera prima con un telefono cellulare, che un giovane offre in uso per tre minuti al costo di 35 lire egiziane, Betta é riuscita a parlare con Giorgio e la Lelli che sono a Bologna ed ha avuto notizie rassicuranti sulla loro salute. Saliamo a gruppi di quattro, alle sette del mattino, su carrozzelle traballanti, che in passato hanno visto tempi migliori, trascinate da magri ronzini, e raggiungiamo il tempio che é molto ben conservato e dà la sensazione esatta di come si presentava in passato. Abdul descrive in modo chiaro come avvenivano i riti. Il tempio é dedicato al dio Oros. Dopo l’ingresso c’é un cortile con tutto attorno un colonnato, qui accedeva il popolo. I sacerdoti entravano nelle due sale successive (ipostile) con un soffitto retto da colonne, che rappresentano alberi, con capitelli raffiguranti il papiro, la palma, il loto.
Le colonne erano tutte dipinte di verde, i capitelli erano dipinti coi colori delle foglie dell’albero che rappresentavano, la base era marrone, il soffitto era azzurro.
Dopo le due sale riservate ai sacerdoti di primo e secondo livello, c’é l’altare ed il tabernacolo. Sul primo era posta durante la giornata la statua del dio, nel secondo veniva riposta durante la notte. Ogni sala ed il cortile avevano una porta che veniva chiusa al tramonto ed aperta all’alba. Nessuno passava la notte dentro il tempio. Tre volte al giorno il sacerdote ungeva la statua con oli e profumi, poneva le offerte e la mattina metteva la statua nella barca sacra posta sull’altare. La sera la riponeva di nuovo nel monolito al fondo della sala che fungeva da tabernacolo, chiudeva tutte le porte e le sigillava. Abdul, portandoci in una cappella laterale ci spiega la rappresentazione sul soffitto decorato con stelle, di una figura femminile che riempie il fondo di tre lati. Appoggia le mani e i piedi sul quarto lato ed il suo corpo nudo di donna rappresenta una divinità femminile, che si accoppiava colla terra, divinità maschile. Nei primordi il cielo e la terra erano congiunti, poi sono stati separati per invidia dall’aria. Il cielo ogni mattina partorisce il sole e la sera lo divora.
Sul muro esterno del tempio, nella parte interna, é raffigurata la lotta del dio Oros col male rappresentato da un ippopotamo.
Alle ore 9 termina la nostra visita al tempio. Ritorno alla nave sempre in carrozzella, il paese é povero e le sue strade sono polverose e piene di rifiuti, il mercato si trova lungo le strade con le cose più disparate: frutta, capre agnelli ecc. Le uniche due donne che riusciamo a vedere sono vestite di nero e velate. Il viaggio in carrozzella riserva alcune sorprese, con varie scuse i conducenti si fermano, per permetterci di fotografare, o... per aspettare che la cavalla gravida si riposi, come capita a Clara, Bianca Vasco ed Adriano. Si riparte solo dopo aver elargito laute mance. Succede pure di ritrovare un diverso conducente per la stessa carrozza rispetto all’andata, che si dichiara fratello del precedente ma, caso strano, nulla sa della mancia pretesa ed avuta dall’altro. Partiamo ed inizia la lunga navigazione per Luxor. Sette ore di viaggio ci aspettano. Il panorama che vediamo dalla terrazza della nave é bellissimo. Piccole barche con due persone che pescano buttando le reti, poi ripercorrono il tratto fatto battendo con un remo l’acqua in modo che il pesce spaventato incappi nella rete e quindi la recuperano. Sulle rive vi sono campi rigogliosi con coltivazioni di banani e canna da zucchero e tante palme. Ogni trasporto viene fatto con animali. Vediamo anche un bue legato ad una pompa che solleva l’acqua. Dopo la battaglia degli sdrai che sembra una guerra dei nervi col logoramento del nemico che si crogiola al sole, alle 13 giungiamo alla chiusa. La Bianca riesce a comprare una tovaglia volante, o meglio al volo, con tanto di contrattazione. Pranzo e la navigazione prosegue. (Menù: riso pilaf con sugo di piselli e carote buonissimo, tentativo fallito di imitazione di lasagne, costoletta di vitello impanata e fritta, patate arrosto, frutta a volontà. I datteri a richiesta dati dal vice capo sala nubiano per la Bianca non mancano mai.
Nel pomeriggio le signore proseguono ad arrostirsi al sole e gli uomini duri.... dormono. Alle 17 arrivo a Luxor (antica Tebe). Tè a bordo con biscottini sulla terrazza della nave. Da segnalare che i traghetti ormeggiano uno di fianco all’altro e si dispongono a gruppi di tre o quattro. Hanno tutti due aperture sui lati che corrispondono alla sala di ingresso di un albergo. Si ormeggiano in modo che le porte corrispondano e per salire sul proprio traghetto a volte se ne deve oltrepassare più di uno. Partenza per il tempio di Karnak per assistere allo spettacolo "Suoni e Luci" che alle 18 viene effettuato in lingua italiana, verrà replicato alle 19 in tedesco ed alle 20 in inglese. Ci colpisce la grandezza e la maestosità del tempio che al buio é molto suggestivo. Lo spettacolo é per le luci bellissimo, bello per il suono: un poco lungo e difficile da seguire. Complessivamente di buon livello. Ritorno in nave, cena e poi ..... danza del ventre! O meglio danza di una bella "tettona". Gli sguardi degli uomini si concentrano più in alto del ventre, che si muove ben poco. Ci viene il dubbio che la ragazza abbia la spina dorsale tutta d’un pezzo. Segue poi uno spettacolo fatto con un finto cavallo, divertente ed ingenuo, ma ho l’impressione di averlo già visto in un circo più di trenta anni fa.
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Mercoledì 19 febbraio
La maledizione di Tut Hank Hamon ha colpito ancora! Metà della nave ha problemi intestinali. I racconti delle esperienze di ciascuno riempiono le conversazioni della mattinata. Dopo una sveglia data alle 5, usciamo dalla nave verso il fiume, saliamo sul traghetto e raggiungiamo la riva opposta del fiume ove si svolgerà tutta la visita del mattino. Dopo uno sguardo e foto ai due colossi di Mémnone ci addentriamo con un pullman nella valle dei re. Il paesaggio è completamente brullo. Visitiamo tre tombe, quella di Ramsete VI è la meglio conservata di quelle che vediamo e presenta un lungo corridoio con decorazioni incise direttamente sulla roccia e dipinte. Bellissimo è il soffitto, in particolare il disegno di un avvoltoio ad ali spiegate. Poi visitiamo quella di Ramsete I. Vi si accede per mezzo di una ripida scala e le pareti sono affrescate. Ultima visita a quella di Meremptah II. Pochi gli affreschi rimasti sulla parete, ma è la più grande che vediamo. Ha un pozzo lungo il corridoio di ingresso che doveva servire sia a dissuadere eventuali profanatori, sia per raccogliere l’acqua delle piogge che cadono nella regione con frequenza da 20 a 60 anni. Del sarcofago sono rimasti solo due coperchi monolitici. In quello piccolo, nell’interno, è raffigurata la dea Nut, posta a protezione del faraone. La si può vedere solamente infilandosi sotto la pietra. Lasciamo la valle dei re e visitiamo il tempio di Deir El Bahari, fatto costruire in un anfiteatro naturale dall’architetto Senmut per ordine della regina Hatshepsut. La regina aveva occupato, unica donna, il trono e non aveva avuto ufficialmente altri mariti. Pare che fosse l’amante dell’architetto, o meglio, così hanno descritto gli operai disegnando con graffiti i rapporti fra i due sulla via del ritorno dal lavoro. Da notare i bellissimi bassorilievi dipinti con la minuziosa descrizione delle offerte fatte al dio e la rappresentazione della madre della regina messa incinta dal dio. Questo avevano raccontato i sacerdoti per giustificare l’usurpazione di un trono, attribuendo alla regina origini divine. Da segnalare le colonne a sedici facce denominate protodoriche.
Sulle tombe della città dei morti vi è un insediamento che é stato costruito apposta per saccheggiare i sepolcri scavando dei cunicoli di nascosto. Ora ospita alcuni laboratori che lavorano l’alabastro. Vengono fatti dei vasi con strumenti simili a quelli primitivi. Assistiamo ad una dimostrazione per turisti sulla via e ci viene offerto di acquistare il prodotto finito. Il villaggio appare di una miseria senza limiti.
Nella valle delle regine venivano seppelliti anche i principi. Visitiamo la tomba del figlio di Ramsete III, Amon Her-khopechef, morto giovinetto. Le decorazioni raffigurano il padre che presenta il figlio alle varie divinità. Il faraone è rappresentato, davanti ad ogni divinità, con il copricapo che veniva indossato per il culto di ciascuna divinità, così ogni disegno ha una acconciatura diversa. Nella tomba, come in altre, è stato trovato un feto. Non si capisce se i feti sono i figli dei faraoni o se venivano messi per aiutare il faraone a rinascere nell’aldilà. Il viaggio dopo la morte durava dodici ore e nella dodicesima nasceva in un altro mondo ed era di nuovo faraone. Ecco perché in questa tomba il padre presenta il figlio agli dei, lui che è dio in terra, vuole che questi lo aiutino a farlo rinascere faraone dato che in terra non lo è stato.
La visita programmata termina e prosegue solo quella facoltativa. Abdul ci porta nella valle degli artisti ove si trovava il villaggio di coloro che lavoravano alla costruzione delle tombe dei faraoni. Il loro lavoro durava otto giorni e ne riposavano due (la settimana era formata da 10 giorni) per la loro opera ricevevano un compenso in natura, non esistevano a quel tempo monete. Nei giorni liberi facevano nel villaggio le proprie tombe. Ne visitiamo due affrescate con scene di vita quotidiana e con figure più reali perché non dovevano essere fatte secondo i canoni classici che idealizzavano la figura.
Visitiamo quindi il tempio di Medinet Habu. Fatto costruire da Ramsete III, vi si celebra la vittoria sugli Ittiti. Viene rappresentata anche la scena del conteggio dei nemici morti fatto prima con le mani tagliate poi con quello dei peni, dato che le mani dei nemici non si potevano distinguere da quelle degli egiziani caduti. Il pene invece no perché gli egiziani venivano circoincisi.
Molto belle anche le scene di caccia su una parte esterna dello stesso pilone. Bellissime le colonne ed i bassorilievi con figure femminili che hanno vestiti disegnati con decorazioni e colori diversi uno dall’altro. Il ritorno appare difficoltoso e riprendere il traghetto ci costringe ad una lunga attesa. Alle 14 siamo a tavola, poi tutti a riposare sino alle 18.
Usciamo e ci risulta chiaro che una nuova divinità è apparsa in Egitto. Il dio turista. Dorme sui traghetti, ne discende, viene osannato e pregato da tutti. Se concede regali o acquista merce viene adorato, diversamente maledetto.
Visitiamo le vie del mercato di Luxor. Una confusione incredibile appare ai nostri occhi. Un continuo flusso di sgangherati furgoni Nissan trasporta un intero popolo in migrazione continua. Molto trasporto viene fatto con asini. Le carrozzelle si precipitano sui turisti come le mosche sul miele, proponendo di trasportarli a prezzi bassisimi. Chi cade nel tranello viene trasportato dove vuole il vetturino e per poter scendere deve aggiungere una forte somma. Compro due schede telefoniche usate da un ragazzo dopo averne contrattato il prezzo e questi continua ad insistere chiedendo ancora di più. Minaccio di restituirgli le schede ed allora desiste.
Siamo infastiditi da questo bisogno di avere una contrattazione continua, a tal punto che, appena ci accorgiamo dell’esistenza di un negozio che vende a prezzi fissi, ci sfoghiamo e compriamo a più non posso. Vittorio compra tanti quadretti che potrebbero formare da soli un’intera pinacoteca.
Riusciamo a telefonare, usando un apparecchio che funziona con schede telefoniche. Parliamo con Gherardo ci rassicura confermandoci di essere andato a trovare il nonno tutti i giorni. Sembra che tutto funzioni meglio di quando siamo a casa, che bene rimanere sempre lontani? Usiamo solamente la metà di una scheda del costo di 20 lire egiziane (10.000 lire italiane).
La sera durante la cena ci aspetta una sorpresa: due coppie del gruppo festeggiano l’anniversario dei 25 anni del loro matrimonio ed il personale ha preparato una torta che viene servita con una danza rituale che viene effettuata in occasione delle nozze. Lino e Vittorio, i mariti delle due coppie, sono due personaggi diversi ma simpaticissimi ed hanno contribuito sensibilmente ad amalgamare il gruppo. La nostra accompagnatrice Roberta, sempre molto attenta e disponibile, e la nostra guida Abdul, competente ed appassionato, hanno fatto il resto e, anche se per pochi giorni, ci hanno fatti sentire uniti.
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Giovedì 20 febbraio
La sveglia è fissata per le otto. Abituati agli orari dei giorni scorsi alle 6,30 siamo svegli e cominciamo a preparare le valige. Saliamo sul ponte ed ammiriamo il panorama formato dalle montagne che sovrastano la valle dei re e delle regine dalla parte opposta della riva. Alle 8,30 colazione. Ognuno fa a gara a divorare più pasticcini degli altri e ritorna dal buffet con piatti stracolmi. Alle nove partenza in pullman per visitare il tempio di Karnak (dal nome arabo del paese che vi era insediato). Il primo pilone del tempio è incompiuto ed ha rivelato la tecnica adoperata per la costruzione. Sono ancora presenti alcuni mattoni che formavano il terrapieno che è servito per la sua costruzione. Il pilastro e le colonne venivano mano a mano formati poi, mentre il terrapieno veniva pian piano tolto, le pareti e le colonne venivano levigate e scolpite. Per spianare il terreno gli egiziani si servivano dell’acqua. Costruivano attorno alla zona da spianare un muro alto 10 metri che veniva riempito d’acqua e man mano svuotato. Il terreno che fuoriusciva dall’acqua veniva asportato.
Il tempio di Karnak occupava 80.000 persone che vi lavoravano e copriva una superficie grande 100 ettari. Davanti ad ogni pilone vi erano due o quattro obelischi. Nei piloni vi erano delle scanalature ove venivano messi degli alberi ricavati da tronchi di cedri del Libano che reggevano le bandiere. La sommità degli obelischi a forma di piramide era ricoperta di lamine d’oro e rifletteva la luce del sole.
Prima di passare al di là del secondo pilone vi è una imponente statua monolitica che rappresenta Ramsete II. Sulla fibbia è inciso il nome di un faraone venuto successivamente che ha cancellato il nome di Ramsete mettendo il proprio. Ma Ramsete faceva firmare la statua anche in posti impensati. Il questo caso il cartiglio è stato inciso sotto i piedi e, dato che la statua è stata trovata coricata è stata subito riconosciuta come opera rappresentante Ramsete II. All’interno del secondo pilone vi è un salone ipostilo maestoso. Formato di 134 colonne disposte su tre navate. Quella centrale è più alta e sui fianchi aveva una serie di finestroni con feritoie che permettevano di illuminare l’interno con una suggestiva penombra che favoriva il raccoglimento di chi doveva lavorare o pregare. Al di là della sala prima di un successivo pilone erano stati eretti quattro obelischi. Ne rimane uno soltanto ( di 150 obelischi esistenti in Egitto ne rimangono solamente cinque o sei). Gli obelischi venivano portati lungo il fiume poi issati lungo un pendio dalla parte della base. Alla fine del pendio era accumulata della sabbia finissima che veniva man mano tolta per poter far scivolare il monumento e drizzarlo. Al di là del pilone successivo vi erano due obelischi fatti erigere dalla regina Hatshepsut (abbracciata dal dio Amon). Uno si è salvato perché ricoperto completamente da un’altra costruzione fatta dal figliastro che l’aveva uccisa. Ogni figura della regina è stata martellata per privarla della vita nell’aldilà. In alcuni casi la martellatura è avvenuta solo per le mani, la faccia ed il nome, per rendere la vita futura impossibile. La regina è stata costretta a sposare il fratellastro, non avendo avuto figli maschi, e morto a 32 anni il marito, ha regnato 20 anni relegando il figliastro in un’oasi. Quindi costui ha ucciso la matrigna e ne ha cancellato il nome e l’immagine in tutto l’Egitto.
La visita al tempio prosegue sino allo stagno sacro ove i sacerdoti dovevano lavarsi tre volte al giorno per purificarsi e celebrare i riti.
La visita successiva viene fatta al tempio di Luxor posto a tre chilometri dall’altro. Li univa una strada fiancheggiata da due file di sfingi. Il tempio si trova sulla riva del Nilo ed ha colonne rappresentanti fasci di papiro. Abdul ci fa notare che all’interno delle sale ove la luce era in penombra le sculture sono state fatte ad alto rilievo mentre quando erano poste all’esterno ed in piena luce le sculture erano a basso rilievo. In questo modo risultavano più visibili a seconda delle diverse condizioni di luce.
E’ impressionante la quantità di visitatori che abbiamo incontrato nei due templi. Il ritorno alla nave avviene alle 12,30, chiudiamo le valige ed andiamo a tavola. Ci aspetta la torta di arrivederci preparata dal cuoco e servita con l’ormai consueta danza dei camerieri.
Alle ore 14 partenza e non troviamo il pullman ad aspettarci. Ci accorgiamo che un dio più potente del dio turista è arrivato. Il re di Spagna è in visita ufficiale. La polizia ha bloccato il lungo Nilo ed il traffico è paralizzato: il pullman è stato mandato via. Corriamo il rischio di perdere l’aereo. Roberta è preoccupata: afferma che in questo paese non si devono sempre aspettare cose logiche. L’intervento di Abdul, che protesta con l’ufficiale responsabile, ci permette di prendere un altro autobus e di poter passare. Aspettiamo all’aeroporto in una sala poco accogliente e calda poi partiamo con un airbus 320 uguale a quello che ci ha portato ad Aswan. Notiamo che le decorazioni all’interno dell’aereo sono fatte con uno scarabeo, col sole e con la chiave di vita.
Arriviamo all’aeroporto del Cairo e troviamo un forte vento e la pioggia. Impieghiamo un’ora e mezza per raggiungere l’albergo. L’hotel Mariott è posto su un’isola del Nilo ed è imponente. Ha un nucleo centrale costruito in occasione dell’inaugurazione del canale di Suez e di due torri moderne ai lati alte 20 piani. La nostra stanza o meglio il nostro appartamento è composto da una stanza da bagno, una camera con un letto a tre piazze, un salotto, un cucinotto, due televisioni e due terrazze. Purtroppo è rumoroso, sotto scorre un traffico che non sembra avere soste e tutti azionano il clacson senza ritegno a qualsiasi ora.
La cena è a buffet, abbiamo a disposizione ogni ben di dio ed ognuno esagera un po’. Visitiamo i saloni ed anche qui si sta svolgendo la festa di un matrimonio con le ormai per noi consuete scene di canti con tamburi e ballerine che accompagnano gli sposi conducendoli verso gli invitati per la festa. In questa occasione viene effettuata una ripresa in diretta di tutta la cerimonia e gli invitati, seduti alla loro tavola, guardano un televisore senza doversi scomodare per seguire i balli e i canti che avvengono lungo la scalinata dell’albergo.
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Venerdì 21 febbraio
Abbiamo scoperto perché questo è il periodo di bassa stagione: dal 15 di febbraio per circa 50 giorni soffia il vento. Il cielo sopra la città è pieno di sabbia in sospensione e si formano delle nuvole che provocano leggere piogge. La città del Cairo, solo noi stranieri e gli intellettuali egiziani la chiamano così, tutti gli altri la chiamano Egitto, conta 16 milioni di abitanti. Dopo una sveglia data alle 7,30 ci trasferiamo al museo che apre alle 9 e sta aperto senza interruzione sino alle 16,30. Centinaia di turisti sono già in fila per la visita ed è difficile anche solamente entrare. Iniziamo la visita dal piano superiore che è quasi interamente occupato dai reperti trovati nella tomba di Tut Hank Hamon. L’intero corredo funebre del faraone è bellissimo e ci stupisce come è stata riposta la mummia del faraone. Sul capo della mummia era infilata una maschera d’oro massiccio con le sembianze del faraone, altri ornamenti d’oro erano posti sulle mani e lungo tutto il corpo. La mummia era contenuta in un sarcofago d’oro massiccio, che aveva sempre le stesse sembianze, del peso di 110 kg. Il tutto era contenuto in un altro sarcofago di legno ricoperto d’oro e così via. I suoi visceri erano riposti in quattro vasi canupi che a loro volta erano racchiusi in altri quattro contenitori di alabastro a forma di sarcofago e questi in un contenitore a forma di parallelepipedo. Ci stupisce la preziosità dei manufatti e ci meravigliamo pensando alla cultura raggiunta da questo popolo già quasi cinquemila anni fa. Sono anche molto interessanti gli arnesi ritrovati che servivano alla vita quotidiana. Vediamo una comoda per il gabinetto, una sedia da parto, dei giocattoli, ami da pesca, strumenti per le attività artigiane. Peccato che tanta gente e tanto frastuono non ci abbiano permesso di ascoltare tutte le parole di Abdul e che alcune informazioni siano andate perdute. La visita termina ed andiamo a pranzo in un ristorante posto su una barca sul Nilo. E’ un ristorante all’italiana e ci servono delle penne all’arrabbiata. Non possiamo dire di aver mangiato male ma complessivamente non possiamo nemmeno dire di essere stati soddisfatti. Nel pomeriggio passiamo davanti alla città dei morti. Cimitero monumentale oggi abitato dai profughi dell’ultima guerra (1973). Dato che sopra le tombe venivano costruite delle vere e proprie case per officiare i riti funebri queste sono state occupate per far fronte al bisogno di alloggi creato dalla guerra e così oggi il problema non è ancora stato risolto. Arriviamo alla cittadella fatta costruire dal Saladino per difendere la città ed entriamo nella moschea di stile arabesco, dopo aver fatto la rituale foto di gruppo. La moschea è grande a pianta quadrata, ha una cupola centrale e quattro semicupole laterali. Tutto il suolo all’interno della moschea, compreso il cortile esterno nel quale vi è la fontana per le purificazioni, è sacro. Abbiamo dovuto toglierci le scarpe per entrare ed il disagio che provo è grande. Camminiamo su logori tappeti maleodoranti ed appena possibile schizzo fuori e riprendo le mie scarpe. Nella religione mussulmana non esiste il clero. La preghiera è guidata da un fedele che parla agli altri fedeli. I princìpi sono quelli della mutua assistenza. Non esiste confessione.
A fianco di questa moschea costruita fra il 1830 ed il 1848 da Muhamad Alì ve ne è un’altra più antica, circa del 13° secolo di Enasir Muhamad. Ha un doppio colonnato ricavato usando colonne e capitelli greci e romani ed è a cielo aperto. Su uno dei lati, come in quella precedente, di fronte all’ingresso vi è una nicchia che indica la direzione della Mecca. Il minareto è a forma di candelabro caratteristico della moschee egizie, mentre quelle di tipo arabo hanno i minareti a forma di matita.
Proseguiamo e ci dirigiamo al bazar di Kan el Kalili.
Ci addentriamo in fila col divieto assoluto di fermarci a fare compere. Roberta non potrebbe tenerci tutti uniti aspettando che uno di noi termini l’estenuante contrattazione. Esiste di tutto: carretti, automobili che riescono a bucare un muro vociante di persone. Un uomo trasporta sulla testa una gabbia di legno piena di focacce di pane. Ne cadono alcune, si ferma, lo aiutano a raccoglierle e prosegue imperterrito dopo averle mescolate alle altre. In mezzo ai vicoli ci sono molti negozi di oreficeria, in particolare i manufatti d’argento ci colpiscono, così come il contrasto fra l’esterno e l’interno dei negozi. Alcuni sono sporchi e miseri, con artigiani che fanno i mestieri più umili, accanto ad altri ben ordinati e pieni di luci con oggetti di pregio. Nessuno se la sente di rimanere in quella confusione senza la guida. Torniamo in albergo e decidiamo di fare una spedizione in centro. Ci rivolgiamo al portiere dell’albergo che fissa per un gruppo di 11 di noi due taxi. Sono due vecchie Peugeot 504 familiari a sette posti. Raggiungiamo il centro e uno dei due conducenti ci accompagna per più di un’ora e mezza in passeggiata. Non ci par vero di non dover studiare la strada del ritorno. Riusciamo a telefonare da un posto telefonico pubblico con la scheda telefonica e risparmiamo almeno 40 pounds richiesti in albergo per una telefonata della durata variabile da un secondo a tre minuti. Al termine del giro l’autista insiste per portarci in un negozio ove vendono essenza di loto. Rientriamo in albergo dopo che Adriano e la Bianca hanno acquistato un bel lampadario che sembra impegnativo per il suo trasporto: entrerà solo per un pelo nel bagaglio a mano. Quasi alle 20 rientriamo in albergo e anziché dare ai tassisti solo i 100 pounds pattuiti ne aggiungiamo altri 30 di mancia. I due che alla fine della corsa sembravano tesi, pronti a subire una estenuante ulteriore contrattazione, ringraziano felici e stringono le mani a tutti. Uno dei due ci ha raccontato, durante la nostra passeggiata, di avere due mogli, che litigavano fra loro. Ora le ha divise e passa una settimana con una e una settimana con l’altra. Tutto ora fila perfettamente. A chi gli ha chiesto se era un problema avere due mogli ha risposto che fra una o più di una il problema è uguale.
Dopo una cena a base di pesce, passiamo un’oretta al casinò. Vasco vince spudoratamente, la Bianca fa pari, la Betta perde tutti i 10 dollari impegnati nel gioco sia alla roulette sia alle slot machines
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Sabato 22 febbraio
Sveglia anche oggi "umana" alle ore 7,30. Colazione e partenza per Menfi. Facciamo un percorso che ci permette di evitare il centro di Giza. L’esperienza del pomeriggio ci fa considerare che avremmo potuto svegliarci un’ora prima per vedere la sfinge e le piramidi illuminate dalla luce del mattino, facendo al contrario il giro programmato. La Bianca nota a fianco delle porte di alcune case la presenza di giare e chiede ad Abdul a che cosa servano. Vengono riempite d’acqua e, dato che trasudano, l’evaporazione rende l’acqua contenuta fresca. Chi passa ed ha sete può berla a piacimento: è un’opera buona per gli altri. Nessuno lo dice ma ognuno pensa fra sé che solo un vero assetato potrebbe oggi bere da quelle giare. Ci fermiamo ad un passaggio a livello, le sbarre non ci sono più ed al loro posto ci sono due catenelle. Dopo il passaggio del treno riparte un popolo variopinto: quattro o cinque mucche guidate da un uomo a cavallo di un asino, un gregge riprende la sua strada lungo la ferrovia, automobili, motociclette e camioncini sgangherati partono velocemente verso mete diverse.
Fra tutte le persone che abbiamo incontrato in questo paese non ne abbiamo mai vista una col viso accigliato: tutti hanno una espressione serena.
A Menfi vale la pena di vedere solamente la statua di Ramsete II che ha le gambe mozzate ed è coricata. E’ imponente e colpisce il suo sorriso enigmatico. L’altra cosa di rilievo è una sfinge di alabastro. Partiamo quasi subito per Sakkara dove c’è la piramide di Giuser. E’ la più antica piramide conosciuta e risale al 2700 a.C.
E’ a forma di gradoni ed era rivestita di lastre. La successiva forma usata per le costruzioni è quella trapezoidale. Quindi si arriva alla forma della piramide perfetta usata per quella di Keope. Le facce di tutte le piramidi erano orientate secondo i punti cardinali e l’ingresso era nella faccia rivolta a nord. Dalla primitiva forma a quella definitiva passano 200 anni. La prima piramide era composta di blocchi di pietra grandi come mattoni, l’ultima di blocchi pesanti più di due tonnellate e mezzo. Altre ancora erano fatte di rocce e sassi e poi ricoperte con lastre. Le lastre di ricopertura non ci sono più in nessuna piramide, sono state usate per altre costruzioni. Visitiamo l’interno di una piramide con un cunicolo di 13 metri ed una camera mortuaria con la volta decorata con stelle. Di fronte visitiamo la màstaba (casa) della tomba di un notabile del tempo. Sono molto belle le decorazioni alle pareti con la descrizione di scene di vita quotidiane, sono raffigurati ippopotami, coccodrilli, pesci. E’ descritto l’attraversamento di un corso d’acqua da parte di una mandria. Chi la guidava si è servito di un vitello che ha preso e ha fatto passare dall’altra parte attaccato alla barca. L’animale è stato seguito dalla madre e questa dai tori della mandria. Vengono descritti nelle sculture i lavori nei campi e l’allevamento del bestiame, davanti a tutto sono rappresentati gli scribi che tenevano nota di ogni cosa e gli amministratori del notabile sepolto. Qui Abdul ci spiega che l’anima uscita dal corpo doveva, per poter continuare a vivere nell’aldilà, trovare un corpo, una casa e da mangiare. Per questo il corpo veniva mummificato, veniva costruita una tomba, venivano messe le suppellettili e del cibo. Poi veniva messa una statua raffigurante il defunto e sulla mummia una maschera che ritraeva il defunto da giovane. Quindi veniva raffigurato il defunto sulle pareti della tomba perché se non trovava il corpo poteva, in sua vece, usare la statua o la raffigurazione sulle pareti e vicino alla raffigurazione veniva scritto il nome del defunto, incidendo il suo cartiglio, perché potesse riconoscerla. La stessa cosa poteva avvenire per il cibo: se non c’era, poteva utilizzare con formule particolari il suo simulacro.
Visitiamo la piramide di Giuser che è la prima costruita con le pietre. La costruzione avveniva prima scavando un pozzo verticale al cui termine venivano scavate due camere mortuarie. Sopra al pozzo veniva eretta una màstaba che consiste nella fattispecie in una costruzione alta dieci metri e di 40 metri di lato. Successivamente sono stati aggiunti altri tre piani, poi la base è stata allargata portandola a sessanta metri e sono stati innalzati altri due piani. Davanti alla piramide vi è una spianata. Si accede alla piramide da una costruzione che doveva ricordare il palazzo del faraone e si passa attraverso un primitivo colonnato che ricorda le palme. Le colonne sono tali per tre quarti, poi sono collegate ad una parete.
Visitiamo la scuola di tappeti ove a ragazzini dai sei ai quindici anni viene insegnato ad annodare tappeti. Il prodotto del loro lavoro viene venduto. Vedere questi ragazzini fa molta pena. Ma ci viene detto che l’alternativa per loro è la miseria e che il loro lavoro è volontario e per questo vengono remunerati. Ci viene detto che percepiscono centomila lire mensili. Non crediamo che quanto asserito sia vero perché uno stipendio medio ammonta attualmente nel paese a trecentomila lire mensili.
Una ragazzina mi sorride e si mostra particolarmente gentile, mi fa vedere nei particolari come viene annodato il filo di seta. Poi capisco perché: con fare furtivo, affinché gli altri non se ne accorgano, mi chiede dei soldi.
Compriamo, dopo aver seguito il rituale, ormai consueto della trattativa al ribasso un tappeto che in origine era marcato 450 lire egiziane.
Il pranzo a buffet è a due passi dalle piramidi presso l’hotel Movenpike. Non offre la scelta del Mariott ma la qualità è ottima. Quindi saliamo in autobus per i botti finali dello spettacolo.
Arriviamo alle piramidi di Giza. Quella più grande di Keope, a fianco quella di Kefren e poi quella di Micerino che erano rispettivamente nonno padre e figlio. Erano tutte levigate perfettamente. La più alta, quella di Keope non ha più traccia di rivestimento mentre quella di Kefren ne ha ancora sulla sommità. Questa è più piccola di quella del padre ma, essendo appoggiata su un rilievo più alto, da lontano appare la più alta. Quella di Micerino è più piccola ma è fatta di granito rosa. I contadini egiziani lavoravano alla costruzione delle piramidi durante la stagione della piena che durava quattro mesi (d’estate). Dato che i campi erano allagati non potendo fare altro venivano impiegati dal faraone.
La costruzione della Piramide di Keope ha richiesto 20 anni.
La stagione è brutta, è nuvoloso e tira un forte vento che alza la sabbia. Pur nella sua maestosità non gustiamo a fondo lo spettacolo per il fastidio che ci provocano il vento, i cammellieri ed i venditori di cartoline, qui particolarmente petulanti, più fastidiosi e numerosi di mosche.
Ognuno di noi risale velocemente nel pullman. A fianco della piramide di Keope vi è una orribile costruzione in vetro e cemento. Contiene una barca che è stata ritrovata in quel punto sotto la sabbia ed è stata restaurata. Visitiamo il tempio a valle di Kefren e la sfinge che rappresenta il faraone. Il corpo era quello di un leone ed era la personificazione del dio Rha ed è rivolta ad oriente. Per la costruzione gli egiziani hanno sfruttato una sporgenza rocciosa naturale. La hanno modellata e ricoperta di pietre formando la figura. La statua ha subito molte mutilazioni ed adesso è in restauro. Solo in epoca greca, quando gli Egiziani si erano dimenticati di chi raffigurava la statua, la hanno denominata sfinge: mostro mitologico che strangolava i viandanti che non sapevano rispondere al famoso quesito di chi è colui che cammina alla mattina con quattro gambe, al mezzogiorno con due ed al tramonto con tre. Abdul ci spiega come avveniva la mummificazione. La salma veniva lavata con vino di palma, venivano tolti il cervello e le interiora. Poi la salma veniva messa sotto sale e dopo 50 giorni ricoperta di resina e di catrame. Quindi avvolta in bende di lino. Venivano poi aggiunte sostanze ancora sconosciute.
Ritorniamo all’albergo. Abdul dice che una buona guida si deve adeguare al gruppo. E’ quello che lui ha fatto. Non con tutti i gruppi si possono avere buoni risultati e senza dirlo esplicitamente ci fa capire che il nostro è stato un gruppo molto buono che lo ha ben stimolato e che ha saputo amalgamarsi. In particolare ha sparato su "senza nome" Vittorio che ha saputo rispondere a dovere.
Terminiamo il giro con la visita all’istituto statale del papiro. La pianta del papiro egiziano ha il fusto triangolare e sulla sommità una specie di ciuffo.
Viene pelato, tagliato a strisce e schiacciato con un mattarello, lasciato a bagno sei giorni nell’acqua che viene cambiata quotidianamente, poi intrecciato e messo fra due feltri in una pressa dove rimane altri sei giorni. Le strisce si incollano naturalmente senza l’aggiunta di collanti. Compriamo a prezzi fissi.
Torniamo in albergo e salutiamo Abdul.
Cena cinese a buffet e tutti a letto. Ci aspetta una nuova levataccia.
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Domenica 23 febbraio
Sveglia alle ore 4,30. Alle 4,45 qualcuno bussa alla porta. Siamo esterefatti. Guardo dallo spioncino: è un inserviente che viene..... a controllare il consumo del frigobar: alla faccia della fiducia! Per rifarci, facciamo razzia delle bustine dei fiammiferi e delle penne con la dicitura dell’hotel. Dopo aver lasciato le valige fuori dalla porta della camera scendiamo per la colazione. Molti sono ancora in coma profondo, pian piano ci svegliamo e saliamo sul pullman.
Saluti, baci e complimenti a Roberta all’ingresso dell’aeroporto. Aspettiamo, stando in fila ed in piedi per il controllo dei passaporti alla dogana, più di un’ora e mezzo. L’impiegato è di una lentezza esasperante, conscio del suo misero potere; si arrabbia perfino perché non stiamo bene in fila! Per fortuna Lino ci distrae con una serie di barzellette che sa raccontare magistralmente.
Passiamo e subito saliamo sull’aereo. Decollo e poi..... si mangia. Basta!!
Alle otto del mattino ci viene servito un pasto completo. Qualcuno lo innaffia persino col vino. Sembriamo le oche delle sculture viste ieri che i contadini ingozzavano senza farle muovere perché ingrassassero di più.
Ci sorge il dubbio che la Rallo Viaggi spedirà a casa di ciascuno di noi una proposta per una settimana di vacanze col motto: "Sette chili di meno in sette giorni!" |