Mercoledì 10 marzo 2004

Chiuse le valige, partenza. Alle dieci arriviamo a Tiruchirapalli (detta Trichy) che si trova sulle rive del fiume Kaveri, in questa stagione quasi asciutto. Poche pozze d’acqua affiorano alla superficie. Ci fermiamo in un luogo sacro davanti al fiume dove i fedeli vengono a disperdere le ceneri dei defunti, a fare riti di purificazione o a celebrare matrimoni.

Se ne sta svolgendo uno ed i due sposi, contenti di essere capitati in mezzo ad un gruppo di turisti che li fotografa, si mettono in posa. Non manca l’elefante ammaestrato e i bramini che pregano e leggono il futuro versando l’acqua del fiume in contenitori in cui hanno disposto cenere e semi. Dopo esserci districati fra una marea di questuanti, risaliamo in pullman diretti al tempio dedicato a Vishnù, posto sull’isola di Srirangam. Si tratta di un tempio città ed al di là delle porte di ingresso si svolge un’attività frenetica. Un andirivieni continuo di tricicli, motociclette, biciclette, carri e persone rende difficile avanzare e fare fotografie senza provocare un sonoro ed insistente concerto di campanelli e clacson.

 

Il tempio di Ranganathasvamy è strutturato in sette cortili rettangolari concentrici (prakara) con sette porte. (I templi dedicati a Shiva ne hanno al massimo cinque).

Il gopura di ingresso è stato terminato nel 1985, mentre le costruzioni più antiche del tempio risalgono al dodicesimo secolo. Si entra nel tempio vero e proprio passato il quarto prakara.

Tolte le scarpe, saliamo sulle mura attraverso uno stretto e basso passaggio ed incontriamo un nano che avverte: “Attento alla testa” e non ci abbandonerà per tutto il nostro giro.

Nel tempio si stanno svolgendo diverse cerimonie di presentazione o di ringraziamento per una grazia ricevuta. Ne vediamo una particolarmente ricca con numerosi doni da lasciare al tempio. I pellegrini si sono rasati il capo cospargendolo con una pasta bianca e gialla.

Arriviamo davanti alla settima porta dove non ci è concesso di entrare. Giriamo attorno al prakara per vedere dall’esterno la porta del paradiso che il fedele deve riuscire a scorgere da una posizione obliqua, appoggiando i piedi sopra a due segni ed infilando le dita della mano in cinque fori fatti per terra nella pietra. Se ci riuscirà, dopo cinquanta anni gli si apriranno le porte del paradiso.

E’ già quasi l’una e probabilmente il prossimo tempio che ci accingiamo a visitare sarà già chiuso. Si tratta del tempio di Jambukeshwar dedicato a Shiva. Arriviamo appena in tempo. Il gran numero di fedeli in pellegrinaggio ha fatto posticipare la chiusura. Entriamo. E’ più piccolo di quelli che abbiamo visitato ma di fattezze eleganti, con sculture dipinte dai colori sgargianti. All’interno troviamo alberi ed animali. Un antipatico bramino ci tallona e proibisce a tutti di fotografare o filmare. Cerco di soppiatto di girare qualche immagine ma se ne accorge e devo smettere.

Continua a ripetere: “No foto, no foto!”.

Alla fine si ferma e prova, chiedendo un’offerta, a tracciare un segno sulla fronte di Gianfranco che sorridendo declina la benedizione e gli dice: “No foto, no money”.

Alle 15 si parte in direzione di Madurai che dista 162 chilometri. Usciti dalla città il traffico diminuisce e la campagna cambia. La terra è di un colore rosso cupo, i campi sono squadrati e delimitati da un rialzo per contenere l’acqua. Vediamo più alberi ed è scemato il formicolio umano. Le persone non camminano lungo la strada ma lavorano nei campi e percorrono i sentieri sterrati dell’interno. Le case si concentrano attorno ai pozzi. Palme e banani, piccoli arbusti da taglio, grandi alberi numerati a fianco della strada. Ci addentriamo nella valle ed appaiono le prime colline.

Facciamo una sosta lungo la strada in mezzo ad un piccolo gruppo di case. Sul lato sinistro sotto ad un pergolato di stuoie, alcune donne, dirette da un uomo, stanno intrecciando, con rudimentali macchine manovrate a mano, delle corde ricavate con la fibra del cocco. Spuntano un gran numero di bambini, donne e ragazze che si fanno fotografare e chiedono con insistenza qualcosa in cambio.

Prossima sosta nel villaggio di Menur dove si sta svolgendo un mercato. L’animazione è sempre grande e la gente sembra meno abituata a vedere dei turisti. Ci guarda come fossimo sbarcati da un altro pianeta. Resto sbalordito per la quantità di taxi fermi in attesa di clienti. Il loro numero é superiore a quello dei tuc-tuc che sono schierati lungo la strada principale.

Alle 18,30 arriviamo al Fortune Pandyan Hotel di Madurai. Si tratta di un albergo classificato turistico ma è stato restaurato da poco ed appare migliore di quello che abbiamo appena lasciato.

Ha un difetto: le stanze sono fatte per essere unite due a due per ospitare famiglie numerose. La separazione fra le camere è chiusa da una singola porta con larghe fessure. Se qualcuno parla ad alta voce sembra di essere dentro alla stanza altrui.

Siamo ad alcuni chilometri dal centro ma giudicando il rumore che proviene dalla strada non si direbbe.

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