Domenica 7 marzo 2004

 

Ci hanno assegnato un altro pullman, non molto diverso da quello di ieri, solo meno antico. Anche questo ha la cabina di guida separata dai posti dei passeggeri ed assieme al guidatore siedono altre due persone. Uno è l’assistente dell’autista, indispensabile per caricare i bagagli, per aprire la porta e per le manovre in cui utilizza un fischietto per le segnalazioni, l’altro è l’assistente della guida, del quale restano incomprensibili le effettive mansioni.

La periferia della città appare misera. Molti dei negozianti stanno spazzando con una scopa di saggina senza manico davanti ai loro banchetti. Spostano la polvere ed i rifiuti nel fossato della strada e lì resteranno perché nessuno sembra raccogliere l’immondizia.

Fuori dalla città il panorama cambia, si vedono campi coltivati ed animali che pascolano liberi. La maggior parte delle persone cammina scalza o indossando leggere ciabattine.

Siamo nello stato del Tamil Nadu. La lingua è il Tamul. In india si parlano 18 lingue e nelle scuole è obbligatorio lo studio dell’inglese.

Ci dirigiamo a Kancipuram una della sette città sante dell’India (saptapuri) e fra queste è l’unica consacrata sia a Vishnu sia a Shiva. Fu capitale del regno dei Pallava ed ha una straordinaria quantità di templi. Viene definita la città d’oro dai mille templi.

Solamente la parte centrale della strada è asfaltata e tutti viaggiano al centro. Si ha l’impressione, incrociando un altro veicolo, di non riuscire a passare per la presenza di pedoni, animali, biciclette e moto sulla sinistra, lato dove si circola. Più che una strada di collegamento fra città, sembra quella di un popoloso centro rurale.

Il tempio dravidico ha subito una lunga evoluzione stilistica. La forma più recente, vasta e spettacolare, si è sviluppata in vere e proprie città-tempio. I templi sono circondati da un recinto (prakara) che a sua volta può contenerne altri sino ad un massimo di sette. I portali d’accesso, sino a quattro disposti nei punti cardinali, sono sormontati da alte torri (gopura). Il luogo più sacro (garbhagriha), dove si trova l’immagine della divinità, è sormontato da una torre (vimana), che nei templi più antichi era la torre più alta. Davanti si trova una sala quadrata o rettangolare (ardhamandapa) ed attorno il deambulatorio coperto (pradakshina). Allineato all’apertura del santuario si trova una tettoia posta su colonne (mandapa) sotto la quale è posta l’immagine della cavalcatura del dio (toro per Shiva, pavone per Vishnu, topo per Ganesha).

Arrivati alla città santa iniziamo la visita del tempio di Ekambareshvara dedicato a Shiva. Ognuno di noi lascia le scarpe ed indossa i calzini che ha portato o che si è velocemente procurato. Il terreno è caldo e disseminato di polvere e sassolini. Per chi non è abituato, è impossibile camminare a piedi scalzi.

Un venditore di formelle e rulli per decorare il suolo con polvere bianca o colorata attira la nostra attenzione e fa buoni affari. Un nugolo di questuanti ci attornia per farci ripetere i gesti bene auguranti che i fedeli fanno entrando nel tempio e ci chiede un’offerta. Attorno al tempio c’e un’ampia zona con poca erba secca. Alcuni animali brucano qua e là. A fianco del portico prospiciente il luogo sacro, una piscina. Alcuni fedeli si purificano lavandosi, altri offrono riso che lasciano cadere nell’acqua.

Mi accingo a filmare la scena e, per meglio inquadrare il soggetto, arretro verso il muro di cinta del cortile del tempio. Un odore intenso e sgradevole arriva alle mie narici. Su una piazzola in cemento, sono allineate in gran numero delle polpette, impastate con sterco e paglia, poste a seccare al sole: serviranno come combustibile per la cottura dei cibi. All’interno del tempio si snoda un corridoio rettangolare che i pellegrini percorrono più volte secondo un preciso itinerario. Lungo le pareti, dietro un colonnato una serie di lingam che rappresentano Shiva.

Disposti all’interno del tempio troviamo vari luoghi sacri dedicati ognuno ad una divinità, presidiati da un bramino che benedice i fedeli che gli si avvicinano e con una pasta rossa, premendo il pollice sulla fronte fra le sopracciglia, lascia un segno rosso. Il tempio raffigura la forma del corpo umano La testa è il luogo sacro dedicato a Shiva, che la nostra guida definisce: “santa santorum”, i piedi sono fuori dal tempio e la parte centrale con i corridoi è il tronco.

A meno di un chilometro in linea d’aria visitiamo il tempio di Kailashanath che nel tempo è antecedente di circa mille anni dal precedente.

Scolpito in pietra arenaria appare ai nostri occhi bello ed affascinante. La pietra, più friabile del granito, col tempo si è sfaldata.

La torre centrale è crollata da poco ed è stata rifatta da soli tre mesi.

Il restauro, fatto ricostruendo la parte mancante come se fosse nuova adoperando malta cementizia, é in contrasto a col resto della costruzione, ma rende evidenti quali siano le parti antiche e quelle ricostruite. Il sole è quasi allo zenit e cerchiamo di difenderci riparandoci sotto l’unico albero che c’è nel cortile. Alcuni fedeli percorrono velocemente e in preghiera il cortile del tempio. Mal sopportano la nostra presenza che li costringe ogni tanto a imprevisti slalom: sembra di assistere ad una sei giorni podistica

Ritorniamo a bordo del pullman e veniamo condotti ad una seteria dove sono in vendita tessuti in cotone e seta. L’accompagnatrice Roberta ci lascia solamente mezz’ora di tempo.

“Ma allora non riusciremo a comprare niente!” Esclama Marianna dispiaciuta. Ma succede esattamente il contrario. Non avendo tempo per eventuali dubbi e ripensamenti e temendo di perdere un’occasione irripetibile, le signore comprano a più non posso.

Il rituale si ripete: ci vengono mostrati due telai in funzione con tre lavoranti che tessono tele di seta per un vestito da sposa. E’ una dimostrazione per turisti. Passati pochi minuti, mentre tutti sono intenti a scegliere le stoffe da acquistare nella sala superiore, scendo di nuovo da solo per osservare nuovamente la lavorazione. I telai sono già fermi e la stanza è vuota.

Carichi come somari di sporte e sportine, soddisfatti degli affari conclusi, rientriamo in pullman e ripartiamo alle 13 diretti al mare. Dobbiamo percorrere sessanta chilometri ed impiegheremo più di due ore. Anche qui le strade sono strette ed ingombre di una miriade di persone a piedi o in bicicletta, animali liberi o attaccati ad un carro, motociclette, camion e pullman. Piccoli agglomerati di casupole e capanne si susseguono uno dopo l’altro.

Alle 15,30 arriviamo all’albergo Temple Bay di Mamallapuram per il pranzo, anche qui a bouffet. Considerata la particolarità dei cibi che ci vengono offerti, la scelta del bouffet si rivela vincente.

Una veloce occhiata al mare e siamo pronti per la visita al complesso dei templi rupestri scolpiti utilizzando poderosi massi granitici.

Cominciamo dai cinque Ratha (detti anche i cinque fratelli). Si tratta di costruzioni mai consacrate al culto, che sono la replica delle strutture lignee usate nei rituali indù del settimo secolo d.C.

Il sole, ormai basso sull’orizzonte illumina i templi dando alle sculture in roccia maggiore profondità ed accendendo i colori.

La seconda visita è prevista al Tempio sulla spiaggia (Shore Temple), situato su un promontorio sabbioso che si protende sul mare. E’ il primo tempio gravidico eretto con blocchi di pietra all’inizio del settimo secolo d.C. senza essere scavato nella roccia.

 

E’ domenica e la zona attorno al tempio è affollata da una moltitudine di persone. Alcuni si accalcano davanti al banchetti di un variopinto mercato, altri sono radunati sulla spiaggia, mentre dalla parte opposta i pescatori stanno rientrando a riva con le barche. Il complesso è costituito da due templi uguali nella forma ma diversi come grandezza. Uno è rivolto ad est. La cella che si apre verso il mare contiene il simbolo di Shiva, dietro in una seconda cella una grande statua di Vishnu dormiente sul serpente Annata. Il santuario del tempio minore si rivolge ad ovest circondato dalle statue del toro Nandi accosciato.

Con fatica il pullman si fa strada attraverso la folla e giunge al Gangavatarana. Un bassorilievo lungo ventisei metri ed alto nove che raffigura la discesa dal cielo del fiume Gange. Detto anche la penitenza di Arjuna in base ad una diversa interpretazione della scena raffigurata.

Fatti pochi passi a piedi, ci troviamo davanti alla palla di burro di Krishna. Una curiosa formazione rocciosa dovuta all’erosione, che vista dal basso sembra un’enorme palla in equilibrio su un piano inclinato su cui alcuni ragazzini stanno giocando trasformando la discesa in un lungo scivolo. Veniamo assediati da una moltitudine di persone che vogliono venderci di tutto: cartoline, elefanti, palle, pantaloni, statue bifronti di marmo rosso che qualcuno di questi mercanti, sentendo che siamo italiani, ha la fantasia di sostenere che si tratti di marmo di Carrara.

Ancora pochi chilometri e raggiungiamo l’albergo Taj Fisherman’s Cove a Covelon Beach.

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