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Il diario |
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Il Sestante |
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"Che traffico!" Stiamo percorrendo l'autostrada del sole in direzione Milano. Alle 15 siamo partiti da Bologna e prima di giungere all'altezza di Modena siamo già fermi. Piersandro Berti, mio cugino ed ufficiale di Marina, ci aspetta al porto di La Spezia per una nuova crociera a bordo del Sestante, un grand soleil 343 una delle imbarcazioni della Marina Militare che vengono assegnate ad alcuni ufficiali abilitati per le crociere estive. Siamo in anticipo sulla tabella di marcia e possiamo permetterci qualche sosta. Quest'anno il periodo assegnato é per la prima volta ad agosto e ho potuto portare con me Gherardo, il mio terzo figlio, che non ha esami da sostenere. Usciti dall'autostrada contiamo cinque semafori e svoltiamo a sinistra, contiamo altri tre semafori e siamo arrivati: sulla sinistra c'é l'ingresso del Circolo Nautico della Marina Militare. Le indicazioni del comandante si sono rivelate esatte, come previsto. Scarichiamo le quattro sacche, una mia, una comune e due di Gherardo che quando viaggia si sposta sempre ben equipaggiato. Abbiamo portato anche una buona provvista di vino, carburante indispensabile per il buon funzionamento dell'equipaggio. La barca ha fatto il pieno di acqua e di gasolio ed é pronta per iniziare la crociera. Il Sestante manca dal porto di La Spezia, suo abituale attracco e luogo dove vengono fatte le manutenzioni, da aprile ed ha alcuni problemi. L'argano, che aveva smesso di funzionare durante la crociera dell'anno scorso, non era più riparabile. Ne é già arrivato uno nuovo ma é mancato il tempo per montarlo. Per poter salpare l'ancora a mano é stata accorciata la catena da trenta a dodici metri ed aggiunta una cima di venticinque. Il pilota automatico funziona solo in un senso. Ovvero fa avanzare l'asta collegata al timone ma non la recupera, così, se non si vuole girare sempre in tondo, é inutilizzabile. Danesi, il collega di Persandro che l'anno scorso ha continuato al mio posto la crociera sul Sestante, non é potuto venire per un lieve incidente capitato alla moglie. Ci dispiace molto non solo per la compagnia ma, visto il danno al pilota automatico, anche per il mancato aiuto. Dopo aver cenato al Circolo Ufficiali della Marina, saliamo in automobile e ci dirigiamo verso il promontorio di Portovenere per ammirare il panorama del golfo di notte. La strada gira tutto attorno all'enorme arsenale, poi costeggia le insenature che si susseguono lungo un percorso tortuoso. Giunti a Le Grazie e facciamo una passeggiata lungo il porto. Risaliamo in macchina e proseguiamo per Portovenere. La strada prima del paese si biforca per ricongiungersi all'inizio del borgo antico. Le due vie sono a senso unico, una porta al centro con l'altra si ritorna indietro. Percorriamo la prima senza trovare parcheggio, torniamo indietro per la seconda e riusciamo a fermarci solo dopo due chilometri. Il traffico é quasi inesistente. Per forza: se uno abbandona il parcheggio che costa duemila lire all'ora, non riesce più a trovarne un altro! Il comune ha risolto il problema del traffico: basta non fare trovare un luogo in cui mettere l'auto e nessuno si sposterà più. Quest'anno sono stato promosso da timoniere-cuoco a secondo ed il comandante mi ha riservato un'intera cabina a prora, al rientro a bordo ne prendo possesso e mi sdaio, poi visto che l'areazione migliore é nella cabina centrale, faccio cambio con Gherardo e ritorno nella cuccetta che ho sempre usato.
Alle 9,30, si parte. Il tempo é bello ed il mare calmo. Ci dirigiamo pian piano sino al canale di San Pietro che si trova fra Portovenere e l'isola di Palmaria. Il traffico al centro é intenso. Le case del paese sono illuminate dalla luce sole che si riflette sui diversi colori delle facciate, unite, strette, a più piani. Sembrano tante piccole torri addossate le une alle altre. La chiesa chiude il paese prima della punta del promontorio, sulle rocce a picco sul mare. Cominciamo a risalire la costa e man mano passiamo davanti ai paesi delle cinque terre: Riomaggiore, Manarola, Corniglia, Vernazza e Monterosso al Mare. Il pendio della costa é tagliato dalle terrazze coltivate a vigneto e bucato dalle gallerie della ferrovia. Le persone che stanno percorrendo a piedi il sentiero che collega i paesi, si vedono distintamente dal mare. Le chiese si assomigliano ed i campanili hanno il tetto a piramide ottagonale. Alle 14 comincia a soffiare un poco di vento, proviamo ad issare le vele con la speranza di poter navigare senza l'ausilio del motore. L'illusione dura pochi istanti: il vento cala di nuovo. Ci fermiamo per fare un bagno sotto costa nelle vicinanze di Moneglia. Il mare é magnifico, con un colore azzurro intenso, l'acqua é profonda più di dieci metri. Io e Gherardo issiamo l'ancora e proviamo, per la prima di tante volte, l'emozione di recuperare dodici metri di catena dal fondo senz'argano. Doppiamo punta Manara e ci dirigiamo al porto di Lavagna. Il capitano ordina all'equipaggio di mettersi la divisa d'ordinanza per l'attracco in porto: pantaloncini blu scarpe di tela, calzini bianchi e polo bianche del circolo velico della Marina Militare. Al nostro arrivo in porto alle 17,15 ci aspettano i marinai che ci danno assistenza. Il porto turistico é enorme: 1200 posti barca che diventeranno, col collaudo definitivo, 1600. La costruzione della diga foranea ha provocato la modifica delle correnti e le spiagge ad est sono state mangiate dalle burrasche. Per un eccesso di prudenza nel calcolare il fondo per il pescaggio della barca (metri 1,90), ci assegnano un attracco sulla diga foranea. Per arrivare in paese dobbiamo percorrere un lungo giro. In compenso siamo così lontani che la sera, quando prepariamo la cena, siamo praticamente soli. Stiamo aspettando Mariangela, la figlia di Piersandro che arriverà da Bologna col treno delle 22,10. Prosciutto e melone come antipasto per calmare i nostri stomaci famelici, mentre la cena vera e propria verrà servita intorno alle 22,30: penne al rum (una versione corretta per forza maggiore delle penne alla wodka) e, per dessert, pesche al limone. Il capitano va in stazione e noi ci accingiamo a preparare una cena a lume di candela: l'apparato per l'alimentazione da terra ha smesso di funzionare, le batterie, con il frigo in funzione, si sono scaricate e restiamo al buio per risparmiare l'energia necessaria per avviare il motore per partire. La preparazione dei cibi avviene con l'ausilio della luce dei lampioni della banchina fuori della barca e con la luce dei fiammiferi dentro. Alle 20,20 arriva Mariangela. La pasta, tirata in padella, é fumante. Non si sa se per la fame o per il la bontà del cibo, tutto finisce in un battibaleno. Lavaggio delle pentole e delle posate sul molo e poi a letto. Soffia vento da maestrale. "Domani non si esce!" sentenzia il comandante. "Domani si va a vela!" spero io.
Raggiungiamo con la solita passeggiata di quasi un chilometro il bar più vicino per la colazione e il super mercatino (troppo piccolo per chiamarlo supermercato come vorrebbe essere) per l'acquisto delle provviste per preparare il pranzo a bordo. Uscita dal porto alle 10,20, salutiamo la capitaneria al passaggio di fronte alla palazzina in vetrocemento, che assomiglia ad una torre di controllo di un aeroporto e facciamo rotta in direzione di Rapallo. Ora il vento é cessato per cui tutte le previsioni di ieri sera sono state smentite. Il mare é piatto come l'olio, Mariangela ha assunto la posizione che le é consueta, come ci ha preannunciato Piersandro, davanti al boccaporto sdraiata al sole. Il capitano si ripara dal sole all'ombra dell'albero, io e Gherardo unti come pesci da friggere siamo a poppa di turno al timone. Il motore é partito senza problemi: la tensione delle batterie é misteriosamente salita. Forse nella notte il carica batterie ha ripreso a funzionare ma le spie di controllo sono rimaste spente. Il mistero si infittisce. Oggi un altro guasto preoccupa il comandante: la membrana del gabinetto non tiene ed in contemporanea la valvola che chiude il tubo di scarico non ha il fermo di fine corsa e non si riesce a capire se sia chiusa o aperta. Risultato: la marea nella tazza cresce e rischia di traboccare ed inondare la sentina. "Potremmo affondare!" sentenzia il comandante. Affondare no, ma sarebbe spiacevole raccogliere l'acqua filtrata attraverso il cesso. Il capitano ogni cinque minuti pompa l'acqua entrata e prova una diversa posizione della valvola di chiusura dello scarico. Dopo vari tentativi finalmente il livello dell'acqua non cresce più. "Guai a chi la sposta!" .... e a chi usa il bagno! Costeggiamo il golfo del Tigullio ed ammiriamo dal mare il panorama di Chiavari, Rapallo, Santa Margherita e Portofino. Giunti davanti all'insenatura di quest'ultimo paese, mettiamo la barca a vela, viriamo e stacchiamo il motore. Finalmente ci sospinge una leggera brezza di mare. Viriamo di nuovo per doppiare la punta di Portofino. Vediamo a pochi metri dalla nostra prua una pinna uscire dall'acqua. Ci passa accanto un piccolo squalo. Costeggiamo il lato ovest del promontorio che scende a picco sul mare. A poche decine di metri dalle rocce in mare ci sono ottanta metri di profondità. Puntiamo di nuovo al largo e scendo in cambusa per preparare i panini per l'equipaggio. Il vento é calato, viriamo ed a motore doppiamo il promontorio. Poco dopo ci ancoriamo sotto costa. Mettiamo in mare il tender e con Gherardo mi dirigo verso Portofino. Entriamo nel porto ed ammiriamo dal centro della baia le case che si affacciano sull'acqua. Dobbiamo uscire quasi subito. Stanno arrivando altre barche che prepotentemente ci spingono all'esterno. Il traffico marittimo é incessante: battelli di ogni tipo si incrociano continuamente. Tornati a bordo ci tuffiamo in acqua per dare sollievo alla calura. Arrivo a Santa Margherita alle 16,30. Attracchiamo davanti alla Capitaneria che si trova sul lato destro della parte più vecchia del porto. Facciamo una lunga passeggiata sul lungomare ed attraverso le stradine interne alla ricerca della stazione ferroviaria per procurarci il biglietto di ritorno di Mariangela che domani rientra a Bologna. La maggior parte delle facciate delle case é dipinta a più colori con decorazioni che imitano fregi a rilievo. Domani il programma del comandante prevede una sosta per il probabile passaggio di una perturbazione in arrivo. Se il tempo rimarrà bello faremo una breve uscita in mare per poi accompagnare Mariangela in stazione e con l'occasione prenderemo il treno anche noi per raggiungere Camogli che si trova dall'altra parte del promontorio del monte di Portofino. Facciamo provvista di acqua minerale e rientriamo a bordo per preparare la cena. Il programma prevede spaghetti alle noci. Comincio a sminuzzare la frutta secca con l'attrezzatura di bordo. L'impresa si rivela più difficile del previsto. Non c'é più la piccola asse di plastica che gli altri anni Michele, l'altro figlio di Piersandro, aveva portato, ma solo un'asse di legno attaccata al coperchio del lavandino. La posso appoggiare su un sedile del pozzetto della barca e lavorare stando di fronte seduto sulla panca opposta. Per poterci arrivare mi devo piegare e la posizione non é comoda, inoltre la lama dell'unico coltello da lavoro é corta e posso triturare solo pochi frutti alla volta. Dopo una buona mezz'ora passo a sminuzzare l'aglio. A questo punto sono costretto a cambiare tipo di pasta, la pentola é bassa e gli spaghetti non ci stanno: penne alle noci! Alle 20,45 la pasta é cotta. Gherardo mi sta aiutando, chiamiamo in tavola il resto dell'equipaggio che non c'é! E' sceso a fare una passeggiata. E adesso? Chiamo Piersandro col cellulare: "La pasta si fredda!" Alla fine di mezzo chilo di pasta in quattro non rimane nulla, quindi lavaggio delle pentole in banchina prima che inizi lo struscio. Gherardo prende la chitarra ed inizia un concertino. Dalla Capitaneria qualcuno si affaccia, altri si siedono sulle panchine che si trovano sul molo, altri rallentano l'andatura. Qualche applauso ed un "bravo" arrivano dal pubblico improvvisato. poi tutti nelle cuccette.
Mi lavo in un bagno pubblico nuovo e pulito che abbiamo scoperto ieri sera sul molo a breve distanza dalla barca. Non c'é lo specchio. Radersi e pettinarsi non é facile, ma sembra un sogno: sarà la nostra salvezza per i tre giorni che passeremo a Santa Margherita, visti i divieti posti dal comandante. Colazione al bar. Gherardo preferisce attardarsi in cuccetta. Il tempo é incerto. Soffia vento e non si può uscire in barca. Non si capisce se le previsioni meteorologiche siano diventate perfette o se il capitano ci ha preso per nostra sfortuna. Saliamo sull'autobus diretto a Portofino. Il paese é invaso da una moltitudine di turisti. Ognuno porta applicato alla maglietta un adesivo o con un numero o con una scritta (Costa), Sono i croceristi delle navi giunte questa notte, che si trovano ancorate al largo davanti al porto. "E' beddissimo!" dice al telefonino una di loro, "quetta sera siammo a Cappri e giomani sbacchiamo a Palemmo." Percorriamo il sentiero che ci porta al Castello di San Giorgio ed al faro, poi rientriamo a bordo. Ora le nuvole si sono diradate ed il sole é tornato a picchiare, il vento si é calmato ed il caldo aumenta. Coperta la barca col tendalino facciamo un disperato tentativo di ripristinare l'alimentazione da terra e cerchiamo di controllare il fusibile dell'apparecchiatura che trasforma l'energia. Per togliere il coperchio dobbiamo smontare tutto l'apparato. Misteri della progettazione dell'arsenale che l'ha montato l'anno scorso. Dobbiamo introdurci all'interno del gavone di poppa, siamo sotto un sole cocente e Mariangela ci fa ombra con l'ombrello che previdente si é portata da Bologna. Dopo reiterati sforzi riusciamo a raggiungere il fusibile che sembra intatto, ma la corrente non arriva all'apparecchiatura e siamo sempre senza energia elettrica. Fatta un'abbondante sudata ci rivestiamo ed andiamo alla stazione. Partenza per Camogli alle 15,06 e dopo poco più di cinque minuti siamo arrivati. Salutiamo Mariangela che prosegue e scendiamo. A Camogli verbo più appropriato di scendere non si può usare, perché assieme a salire rappresenta la maggior parte delle attività locali. Tutti sono intenti a scendere per poi risalire una serie interminabile di scale che collegano le due strade del paese. I palazzi alti e stretti sono decorati con finti rilievi come nelle altre città vicine e l'insieme risulta particolarmente armonico. Visitiamo il porto, l'isola che ora é collegata con la terra ferma e la rocca, quindi entriamo in chiesa. Stanno celebrando un matrimonio, la sposa é appena entrata. Decidiamo di fermarci per la messa. Durante la cerimonia il nuvolone che si vedeva al largo raggiunge la costa e piove a dirotto. A Santa Margherita abbiamo lasciato i boccaporti aperti per il gran caldo, chissà che allagamento! Riprendiamo il treno. Per fortuna sembra che dalla parte opposta del promontorio sia piovuto meno. Infatti i danni sono contenuti al pavimento ed ad una cuccetta bagnati. Vestiti, macchina fotografica e provviste sono asciutti. Il cielo é ancora grigio e le nuvole non accennano ad aprirsi. Temiamo di non poter uscire in barca neanche domani, anzi che ricominci a piovere. Non c'é vento e si sente qualche tuono. Cena al ristorante "Il Nostromo", l'unico a detta dei marinai della Capitaneria con prezzi abbordabili: Risotto alla scoglio e frittura mista di pesce. Dolce ai frutti di bosco per Piersandro che non avrebbe mangiato più niente dopo il primo piatto, stando a quanto aveva affermato. Di nuovo a bordo. L'ormeggio é troppo corto, il corpo morto calato in acqua é sicuramente stato previsto per una barca lunga tre metri di meno. Il Sestante é libero di muoversi avanti ed indietro, ogni onda imprime forti accelerazioni che lo fanno dondolare. Addormentarsi cullati dolcemente é bello, ma spinti come se ci trovassimo su un'altalena é difficile.
Il tempo sembra buono. Ci prepariamo per la partenza facendo la spesa per il pranzo a bordo. Piersandro va ad omaggiare il comandante della Capitaneria. Porta come novello Renzo non due coppie di polli ma due bottiglie di vino. Speriamo che torni con migliori risultati. Alle 9,45 usciamo dal porto. Il cielo si é leggermente velato facendoci temere un nuovo peggioramento. Costeggiamo nuovamente diretti verso la punta di Portofino, doppiamo il capo e proseguiamo a motore la navigazione verso San Fruttuoso. Alle 11 siamo davanti alla baia. Sul fondo si erge l'abbazia e la torre Doria. Nel luogo sono state traslate le reliquie di San Fruttuoso in un periodo imprecisato prima del x secolo quando dei monaci greci costruirono il primo cenobio. Nei secoli successivi sono stati man mano costruiti gli altri edifici e l'abbazia venne affidata ai Benedettini. Nel XIII secolo i Doria adibiscono una sala del complesso a sepolcreto di famiglia. Dopo il '500 inizia la decadenza. Nel 1983 lo stato italiano dona il complesso al Fondo per l'Ambiente Italiano (FAI) che ne cura il restauro. Gli edifici, costruiti sul mare e immersi nel verde sono raggiungibili percorrendo a piedi in meno di due ore due sentieri, uno parte da Ruta-Pietre Strette o un altro da Portofino. Via mare i battelli la collegano con Camogli, Rapallo, Santa Margherita e Portofino. Buttiamo l'ancora con un fondale di ventitré metri (non oso pensare cosa sarà recuperarla), mettiamo in mare il tender ed il capitano ci porta a riva. Piersandro ha già visto San Fruttuoso e ci aspetterà a bordo. Visitiamo la chiesa, l'abbazia con un magnifico chiostro a due piani, e la torre Doria. La visita di quest'ultimo edificio che raggiungiamo dopo aver percorso un sentiero e ripide scale é deludente: gli ultimi due piani sono adibiti ad abitazione privata e solo il piano terra e il semi interrato si possono visitare. Sia nella torre sia nell'abbazia é stata allestita una mostra sulla fauna dei mammiferi acquatici del mediterraneo, molto bella e curata. Ritorniamo al'imbarcadero e con gesti e grida cerchiamo di farci notare dal comandante. Indosso una maglietta color aragosta e sono ben visibile fra il resto delle persone per cui l'attesa non é lunga. Ritornati a bordo facciamo un tuffo ristoratore e preparo i panini con mozzarella di bufala e pomodori. Una buona bottiglia di vino accompagna il tutto, prugne per finire. Programmiamo cinque minuti di riposo prima della partenza. Dopo quindici minuti la ciurma é abbioccata, complice il vino ed il bel tempo. Ora soffia una leggera brezza che culla e rinfresca l'equipaggio che si é steso all'ombra del tendalino che il comandante ha montato mentre eravamo a terra. Salpiamo l'ancora con una certa difficoltà ed issiamo le vele. La brezza che si é alzata é costante e ci sospinge ad una velocità di oltre quattro nodi. Bordeggiamo poi laschiamo le vele per portarci davanti a Camogli. Visti dal mare i palazzi alti ed a mucchi risaltano sul resto della costa. Raggiungiamo il punto più distante dal porto di partenza. Viriamo e costeggiamo nuovamente il promontorio. Il tempo si é rimesso completamente al bello e ci godiamo la splendida giornata di sole. Doppiata l'ultima punta, dirigiamo su Santa Margherita ed attracchiamo alle 15,30. Doccia con lo spinello sulla scaletta a poppa della barca, cambio di abiti ed eccoci pronti per l'ultima libera uscita della crociera. Prima di scendere finiamo i panini rimasti dal pranzo e preparo le pesche al limone da consumare al nostro rientro. Raggiungiamo un punto del lungomare dove sono concentrate le pizzerie con l'intenzione di fermarci. Nessuno ha fame, aspettiamo un poco seduti davanti ad un palco ove si stanno svolgendo le prove di uno spettacolo di tango argentino in programma per la tarda serata. Davanti alle pizzerie nel frattempo si sono formate delle lunghe code di clienti in attesa. Gherardo dà un'occhiata ai tavoli ed esclama: "Come sono piccole!". Ho capito: una sola pizza non basta e la prospettiva di fare una lunga attesa in piedi non piace a nessuno. Rientriamo a bordo e mi accingo a preparare un primo piatto con quello che c'é. Dai risultati del censimento in frigorifero ci scappa giusta giusta un'imitazione di amatriciana. Affetto la cipolla, taglio la carne, metto l'acqua sul fuoco per sbollentare i pomodori. Quando sembra bollente butto i pomodori nel tegame e l'acqua si fredda. E non bolle più. Guardo il fuoco: é spento. La bombola del gas é finita proprio adesso! Io e Gherardo, che siamo a bordo a lavorare, disperiamo di poter concludere la preparazione del piatto. Il comandante sta passeggiando sul molo: lo avvertiamo. C'é una bombola di riserva. Meno male! La montiamo ed a Gherardo torna il sorriso. Dopo pochi minuti una padella di quattrocento grammi di pasta fumante é pronta. Gherardo ne consuma tre scodelle ricolme. Qualsiasi pizza sarebbe stata troppo piccola. Due canzoni cantate a bassa voce poi tutti in cabina.
Alle 4,30 Gherardo si sveglia con un'improvvisa necessità di scendere a terra. Si veste piano piano cercando di non svegliare nessuno e cerca di aprire la porta della sua cabina. Spinge più volte: qualche cosa oppone resistenza dalla parte opposta. Io sto sognando che qualcuno mi spinge con insistenza il piede: ma che fastidio! Mi sveglio. Gherardo riesce ad uscire dalla cabina e si meraviglia di avermi svegliato. "Ho cercato di fare pianissimo" si scusa. "Non hai fatto nessun rumore ma in quanto a spintoni!" "Ah.. ecco perché la porta non voleva aprirsi!". Alle otto sveglia, acquisto le solite provviste per il pranzo, Piersandro fa i soliti saluti di rito al comandante della Capitaneria, quindi partenza diretti a sud est, rotta 130°. Non facciamo a tempo ad uscire dal porto che qualcosa scivola da poppa in mare. Uno dei parabordi legato al pulpito di poppa si sgancia e cade in acqua. Facciamo un'esercitazione fuori programma per il suo recupero. Non c'é vento. Un'onda morta al traverso ci fa rollare. Alle 12 issiamo le vele, alle 12,30 sembra che il vento si sia alzato, abbassiamo i giri del motore per poi proseguire solo a vela. L'incanto finisce dopo poco tempo. Il vento cala di nuovo ma le onde no. Riaccendiamo il motore e ricominciamo a ballare. Ormai siamo in vista dell'isola del Tino, nostra prossima tappa per un bagno ristoratore. Si trova davanti all'isola Palmaria e prosegue idealmente il promontorio di Portovenere assieme all'isolotto del Tinetto che le sta davanti. L'ultimo alaggio dell'ancora ci sfinisce, ci rifiutiamo di issare le vele per proseguire verso La Spezia anche se ora il vento soffia gagliardo. Apriamo solamente il fiocco. Alle 18,30 attracchiamo, scarichiamo i bagagli che Gherardo ha preparato in un baleno, brindiamo alla fine della nostra crociera e come al solito facciamo progetti per i prossimi anni. L'anno scorso sono stato ingaggiato come timoniere-cuoco, quest'anno sono stato promosso secondo, ma nessuno ha assunto i miei precedenti compiti. Strano, ma ho la sensazione che non sia la prima volta che una promozione mi freghi!
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