Mercoledì 28 ottobre 1998.

La sveglia é fissata per le otto, ma siamo già pronti e scendiamo per la colazione. Questa volta abbiamo a disposizione ogni ben di Dio e chi é abituato a fare colazione non solo con cappuccino e brioche si abbuffa. Ivan ha un viso più disteso, forse il cibo ha contribuito a fargli passare il forte mal di testa e i pensieri di ieri. Partenza alle nove. Ognuno occupa i posti assegnati dall’organizzazione. Alla conferma del viaggio abbiamo ricevuto una lettera con l’indicazione del volo aereo e del posto in pullman e così non dobbiamo combattere la battaglia quotidiana dell’occupazione dei posti.

Siamo diretti a Fontainebleu che dista circa settanta chilometri da Parigi in direzione sud. Il tempo é brutto, tira vento e a tratti piove. La campagna ha colori autunnali bellissimi e quando l’autostrada passa in mezzo ai boschi ne gustiamo tutte le sfumature. Gli alberi ad alto fusto sono alti più di dieci metri e non cresce una folta vegetazione nel sottobosco. Il terreno é pianeggiante e le passeggiate all’interno devono essere agevoli.

Il castello di Fontainebleu é stato trasformato da castello medioevale, che serviva come base d’appoggio per le cacce al cervo ed al cinghiale, in una reggia. I saloni e le gallerie si susseguono maestosi, decorati con stucchi ed affreschi., (gli artisti che vi hanno lavorato erano in gran parte italiani). Danno il senso, ancor oggi, della dimostrazione della potenza di coloro che li hanno man mano fatti costruire, Francesco I, Enrico IV, Luigi XIII, ecc...

Il pranzo ci viene servito in un ristorante di Barbizon. Cittadina ove vivevano i pittori impressionisti dello scorso secolo e che ancora oggi ospita galleristi e pittori ed é diventato un luogo esclusivo, con ville dai magnifici giardini.

Anche questo pranzo lascia a desiderare e comincia con un’insalata mista condita con un’indefinibile salsa. Il petto di pollo é ricoperto da una besciamella fatta con funghi. Il formaggio e una crostata di mele terminano il pranzo. Ritorniamo a Parigi e visitiamo la piazza des Voges.

Quando il pullman si ferma, la pioggia diventa scrosciante e nessuno vorrebbe scendere. Solo l’insistenza della nostra guida William, un bolognese trapiantato a Parigi, ci convince. Anche perché ci assicura che la piazza che raggiungeremo passando attraverso i portoni di un hotel (così definisce una casa padronale con più appartamenti) é contornata da portici.

Proseguiamo, ora non piove più ed il cielo si sta man mano rasserenando. Facciamo una breve sosta a Notre Dame (quaranta minuti in totale) e poi di nuovo in pullman raggiungiamo place Vendôme.

Lo spettacolo é incantevole. E’ l’imbrunire e le nuvole rimaste in cielo si tingono dei colori del tramonto. Tutti i palazzi che si affacciano sulla piazza sono del medesimo stile e le facciate non hanno soluzione di continuità. Al centro é posta una colonna bronzea. Sui lati si trovano i negozi delle più rinomate gioiellerie e l’ingresso dell’Hotel Ritz. Facciamo il giro della piazza e guardiamo i gioielli esposti che rappresentano in alcuni casi un lusso impensabile.

Rientro in albergo alle 18,30. Decidiamo di fare una breve passeggiata attorno alla piazza della Repubblica ove é situato l’albergo Holiday Inn in cui siamo alloggiati. All’arrivo in albergo il cielo era sereno e speravamo di avere una giornata migliore per domani. Non facciamo a tempo a salire un attimo in stanza e fare una telefonata a casa, che piove di nuovo. Il tempo é veramente instabile e capriccioso: la situazione meteorologica cambia in continuazione.

Alle 8 ci aspetta la cena nel ristorante dell’albergo. Abbiamo deciso di non ordinare né vino, né acqua minerale, né birra stanchi di farci turlupinare. Certo che la cena, già abbastanza triste normalmente, così sarà tristissima.

Per fortuna dopo ci aspetta lo spettacolo al Mulin Rouge dove, compresa nel biglietto del costo di 490 franchi, dovremmo avere mezza bottiglia di champagne a testa. Siamo scettici e dubbiosi ma Piero ci rassicura... vedremo.

Al ristorante una bottiglietta troneggia nel mezzo del tavolo riempita d’acqua del rubinetto. Pur centellinandola non riusciamo a riempire il fondo di tutti i bicchieri e ne chiediamo subito un’altra. Comincia così una guerra non dichiarata tra noi ed il ristoratore. Evidentemente i camerieri hanno l’ordine di servircene poca per obbligarci a comprare bevande a pagamento, ma non solo il nostro tavolo resiste, tutti gli altri fanno la stessa cosa. Nessuno ha ordinato nulla ed i camerieri fanno la spola per servire, una alla volta, bottigliette d’acqua ai tavoli.

Troviamo la solita insalata mista non condita, poi ci viene servito del pollo tragicamente crudo con patate fritte. Una macedonia di frutta fresca completa di buccia, servita in piatti e non in coppette, termina la cena. Dopo aver rincorso nel piatto i pezzi di macedonia, che non hanno nessuna voglia di entrare nell’incavo del cucchiaio, ci alziamo da tavola. Mario vorrebbe non ritornare a pranzare in albergo domani a mezzogiorno. Altri compagni di viaggio si alzano ed osservano il buffet, posto all'ingresso del ristorante e che é a noi vietato, con uno sguardo pieno di struggente desiderio.

Continua a piovere ed arriviamo in anticipo a Pigalle. Non possiamo fare due passi a piedi e nemmeno girare in pullman, così entriamo nell’atrio del Mulin Rouge, ci mettiamo in fila ed aspettiamo che lo spettacolo delle 19 (con cena) finisca.

Dopo una buona mezz’ora riusciamo ad entrare. Si entra sul lato della sala. Qui sono disposti una serie di tavoli che partono dalla pedana del palcoscenico e arrivano a gradinate sino al fondo. Si sente nell’aria un odore di vino come se fossimo in un’osteria. Ci fanno accomodare nei tavoli prenotati per noi che si trovano in seconda fila nel parterre. Si rivelerà il miglior posto possibile: i tavoli in prima fila sono esposti alla polvere del palcoscenico sollevata dalle ballerine; dal nostro posto si vede benissimo. Siamo in sei al tavolo e ci vengono servite tre bottiglie di champagne. La marca é per noi sconosciuta e non é di qualità superiore ma il vino é gradevole e si beve volentieri.

Lo spettacolo é bello e piacevole, i colori dei costumi sono sgargianti e la coreografia é ben curata. Le 18 ballerine sono splendide e metà é a seno scoperto. Di buon livello sono anche i numeri che intervallano i balletti (due acrobati, un giocoliere ed un fantasista). Bello ma non bellissimo l’immancabile numero del can can. Probabilmente il palcoscenico del teatro non permette un movimento maggiore delle ballerine e gli artisti specializzati nel ballo sono tre: due ballerini ed una ballerina che si esibiscono solo in questo numero assieme agli altri.

Anche se é evidente che si tratta di uno spettacolo confezionato per turisti, si rivela piacevole e tutti si dichiarano soddisfatti.

Mario é rimasto così assorto nel controllare se le ballerine avevano le calze smagliate, da non accorgersi di aver tracannato varie coppe di champagne, per poi accusarmi di non averglierne mai versato.

Alle due stanchi ed assonnati riusciamo a buttarci nuovamente sui nostri letti.

Probabilmente questa sera qualcuno per cercare di addormentarsi non conterà le pecore che saltano la staccionata ma una serie di seni in movimento al ritmo del can can.

Prosegui

Torna alla pagina iniziale del diario