L'addetto, dopo averlo preso dalle mani di uno di noi ed accostato agli altri, non si era preoccupato che venisse caricato.
Prima visita della giornata alla madrasa di Kukeldash, uno dei pochi monumenti ad essere rimasto parzialmente in piedi dopo il terremoto del 1966 che ha distrutto la città.
La scuola coranica si può paragonare, come livello di studio, ad un nostro liceo o all'università. E' possibile accedervi solo per concorso: molti sono gli esclusi. Visitiamo il cortile solo lungo la parte situata ad est. Nel lato opposto sono in corso le lezioni e non è possibile avvicinarsi. Le aule si affacciano sul cortile e sono per la maggior parte piccole. Sulle pareti originali ci sono ancora splendide maioliche bianco azzurre.
L'impianto dell'aria condizionata del pullman non funziona. Il caldo impedisce di proseguire con lo stesso mezzo. Massimo e Flora avvertono i responsabili e rimaniamo in attesa sul da farsi ai bordi della strada sotto l'ombra di alcuni alberi. La polvere alzata dalle auto prende alla gola. Dobbiamo cercare refrigerio altrove. Molti entrano in un negozio di lampadari che si trova lì a fianco, facendo finta di essere interessati agli articoli in vendita. Ma senza fare acquisti la manfrina non può reggere più di tanto. Altri si spingono più lontano alla ricerca di un bar e quando arriva l'ordine di salire sul pullman per ripartire, qualcuno manca.
"Avevate detto che potevamo allontanarci per dieci minuti!" Ma i minuti trascorsi erano un poco di più.
La seconda meta è il museo dell'artigianato Amaliy San'at. Nelle belle sale sono esposti tappeti, vesti e gioielli.
Terminata la visita attendiamo qui il nuovo pullman e quando finalmente arriva con la valigia dimenticata, facciamo il trasbordo dei bagagli dal primo al secondo mezzo. Adesso abbiamo due autisti Akvar e Abdullah.
Pranzo a buffet al ristorante Admiral. Vino offerto ed altre bibite a consumo. La gradita sorpresa del tour è che oltre all'acqua minerale, sempre a disposizione, una volta al giorno ci viene offerto vino o vodka.
Terminiamo con un dolce fatto con miele uova e farina, tradizionale nei banchetti dei matrimoni il "ciack ciack" e delle piccole meline, comperate da Flora, che sembrano quelle della Barbie.
Una breve sosta in piazza Mustakilic (dell'indipendenza), un giro senza fermarci in Piazza Amir Temur col teatro Navoi e poi piano piano ci dirigiamo verso la strada per Samarcanda, a due corsie di marcia e a doppia carreggiata.
Sono le 15,30 e fa molto caldo. L'impianto dell'aria condizionata funziona un po' di più di quello dell'altro pullman, ma poco.
Si suda. Mi viene da sorridere pensando che, col timore del getto freddo, nello zainetto questa mattina ho messo due golf, uno a maniche lunghe uno senza.
Il paesaggio della steppa è piatto: campi di cotone a perdita d'occhio e pochi alberi. Qualche casa bassa a fianco della strada. Alcune donne camminano lungo i sentieri: tutte portano un ombrello chiaro per proteggersi dai raggi del sole.
Alle 17,30 ci fermiamo ad uno dei posti di blocco che sono disseminati lungo la via, al passaggio fra una provincia e l'altra e all'entrata e all'uscita di ogni città.
La polizia controlla minuziosamente le poche auto che transitano mentre i bus turistici vengono graziati e passiamo indenni da controlli. A fianco di ogni garitta sei telecamere, tre girate in un senso e tre nell'altro, registrano il passaggio di chiunque. Dopo il blocco ci fermiamo. Attorno ci sono alcune costruzioni con abitazioni e case da tè. Flora, seguita da noi, scende in perlustrazione per scoprire se è disponibile un bagno praticabile per le signore, ma senza risultato. Qui l'acqua è preziosa, la campagna attorno è grande e un bagno come noi l'intendiamo non esiste.
Ci fermiamo davanti ad una delle costruzioni. Fuori sotto una tettoia degli scranni fatti come triclini per sdraiarsi e riposare all'ombra davanti ad una bibita, dentro la sala da tè vuota e disadorna con un bancone in un angolo senza niente esposto in vendita. Alcune lampade al neon emettono una fioca e spettrale luce. Lungo i muri ad una ventina di centimetri dal soffitto corre un cornicione dove le rondini, che svolazzano indisturbate, hanno fatto i loro nidi.
Passate alcune piccole stanze con un tavolo contornato da sedie di plastica e sgangherati letti disfatti c'è un cortile ed in fondo quello che doveva essere un orto, ora pieno di sterpaglie, al cui riparo possiamo accomodarci per i nostri bisogni.
Alle 18 ripartiamo. Mancano ancora 160 chilometri alla nostra meta.
Il paesaggio cambia, quando arriviamo alle ultime propaggini della catena del Pamir. Vediamo campi coltivati a frumento e più alberi. A fianco della strada incontriamo greggi e mandrie.
Il nostro viaggio sembra non dover mai terminare. Per ingannare il tempo Massimo, che viaggia non per lavoro ma per passione, ci racconta della prima volta che è venuto in Uzbekistan nel 1969, mentre Flora ci legge una serie di notizie sul paese e su Samarcanda.
Alle 20,30, dopo il tramonto, arriviamo all'hotel Afrosiyob Palace. Pochi minuti per una doccia e si cena, poi alle 22,30 appuntamento nella hall per una visita notturna al mausoleo del Tamerlano che si trova proprio di fronte al nostro albergo. Con una mancia di mille sum entriamo all'interno della costruzione che è completamente illuminato. Alle 23,30 rientriamo in albergo. Anche se domani non dobbiamo fare una lunga tappa in pullman abbiamo un intenso programma di visite.
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