Giovedì 31 maggio 2007

Alle 11,30 l'aereo decolla dalla pista di Fiumicino. Stiamo partendo per un tour in Uzbekistan, paese dal nome impronunciabile e sconosciuto.
"Dove vai?" Mi sono sentito chiedere nei giorni scorsi, ma quando spiegavo che si trattava di un viaggio per visitare le città di Samarcanda e Bukara, tutti capivano. Il Boeing 767 non è pieno ed il viaggio prosegue nella sua monotona tranquillità. Sotto di noi man mano riconosciamo il golfo di Napoli, la Basilicata, la Puglia, la Grecia e le sue isole, i monti della Turchia con alcune tracce di neve. Poco dopo il panorama sparisce in mezzo ad una fitta coltre di nubi.
Per rompere la monotonia del viaggio ci viene in aiuto la burocrazia del paese che visiteremo. Bisogna riempire un questionario, retaggio della dominazione sovietica, in cui dobbiamo dichiarare l'importo della valuta ed il valore degli oggetti di pregio che portiamo: macchine fotografiche, videocamere, cellulari e gioielli, indicandone anche la stima in dollari.
Ogni volta che devo compilare uno di questi moduli mi trovo in imbarazzo, anche se il questionario è scritto in inglese e non in cirillico, trovo sempre voci incomprensibili.
Alle 20, ora locale, l'aereo comincia a scendere mentre la luna piena sta sorgendo. Poco dopo Taskent è sotto di noi illuminata da poche luci. Più che una città sembra un presepe. Lungo la pista sono allineati vari aerei Tupolev, probabilmente in disuso, con i finestrini della cabina di pilotaggio e i motori coperti da teloni protettivi. Scendiamo rapidamente e tre autobus ci portano allo scalo.
Entriamo in un angusto salone dove troviamo la strada sbarrata da tre cabine per il controllo dei passaporti.
Massimo, il nostro accompagnatore, ci raggruppa davanti ad uno dei varchi e consegna all'addetto il visto cumulativo. Con lui siamo 48.
Veniamo assaliti da un gruppo di energumeni locali che spinge e ci impedisce di accedere secondo l'ordine scritto nel visto collettivo. L'accompagnatore di un altro gruppo che viaggiava nel nostro stesso aereo invita i componenti del suo gruppo a mettersi in ordine alfabetico. Forse pensava di essere a scuola o alla guida di un battaglione e non alla testa di gruppo di persone che si sono incontrate solo oggi e non si conoscevano prima.
L'ordine dei nominativi del nostro gruppo è casuale e così Massimo ci chiama per tempo dandoci modo di metterci in fila rigorosamente secondo quanto è scritto nel foglio. I primi che riescono a passare cercano di radunare i bagagli di tutti e iniziano i temuti controlli alla dogana. Le notizie che ci erano arrivate davano per certa l'apertura delle valige ed il famoso foglietto con tante dettagliate specificazioni ci faceva pensare ad un controllo minuzioso, mentre tutto si riduce al passaggio del bagaglio a mano nella macchina ai raggi x e nell'apposizione sulla seconda copia di due timbri, una firma ed una serie di complicati ghirigori da parte di un funzionario dal fiero cipiglio, che così si guadagna lo stipendio, per impedire l'aggiunta di altre voci.
Usciamo all'aperto ed aspettiamo gli altri dopo aver trovato la nostra guida Flora che ci sta aspettando. Si avvicinano al nostro gruppo altri energumeni locali che ci circondano e pian piano ci spingono. Sembra che puntino alle nostre valige ma siamo preparati ed attenti.
Quando saliamo sul pullman per raggiungere il nostro albergo, l'hotel Intercontinental, sono le ventitre. Per controllare 48 passaporti il nostro solerte addetto ha impiegato solo due ore: un record!
In albergo non è prevista la cena. Chi vuole può ordinare uno spuntino al bar.
I tramezzini impiegano più di un'ora per arrivare e così andiamo a letto all'una passata. Domani sveglia alle 8,30: la visita della città comincia alle 10.

Venerdì 1 giugno 2007

L'albergo ha una grande hall alta sino al sesto piano che termina con una vetrata a semipiramide. Dei quattro ascensori i due verso la grande sala sono panoramici. Dopo un'ottima ed abbondante colazione (sul buffet c'era di tutto) alle 10 siamo in pullman. Passano pochi minuti e Flora riceve una telefonata: i bagagli sono stati tutti caricati tranne uno, dimenticato nella hall.

L'addetto, dopo averlo preso dalle mani di uno di noi ed accostato agli altri, non si era preoccupato che venisse caricato.

Prima visita della giornata alla madrasa di Kukeldash, uno dei pochi monumenti ad essere rimasto parzialmente in piedi dopo il terremoto del 1966 che ha distrutto la città.
La scuola coranica si può paragonare, come livello di studio, ad un nostro liceo o all'università. E' possibile accedervi solo per concorso: molti sono gli esclusi. Visitiamo il cortile solo lungo la parte situata ad est. Nel lato opposto sono in corso le lezioni e non è possibile avvicinarsi. Le aule si affacciano sul cortile e sono per la maggior parte piccole. Sulle pareti originali ci sono ancora splendide maioliche bianco azzurre.
L'impianto dell'aria condizionata del pullman non funziona. Il caldo impedisce di proseguire con lo stesso mezzo. Massimo e Flora avvertono i responsabili e rimaniamo in attesa sul da farsi ai bordi della strada sotto l'ombra di alcuni alberi. La polvere alzata dalle auto prende alla gola. Dobbiamo cercare refrigerio altrove. Molti entrano in un negozio di lampadari che si trova lì a fianco, facendo finta di essere interessati agli articoli in vendita. Ma senza fare acquisti la manfrina non può reggere più di tanto. Altri si spingono più lontano alla ricerca di un bar e quando arriva l'ordine di salire sul pullman per ripartire, qualcuno manca.
"Avevate detto che potevamo allontanarci per dieci minuti!" Ma i minuti trascorsi erano un poco di più.
La seconda meta è il museo dell'artigianato Amaliy San'at. Nelle belle sale sono esposti tappeti, vesti e gioielli.
Terminata la visita attendiamo qui il nuovo pullman e quando finalmente arriva con la valigia dimenticata, facciamo il trasbordo dei bagagli dal primo al secondo mezzo. Adesso abbiamo due autisti Akvar e Abdullah.
Pranzo a buffet al ristorante Admiral. Vino offerto ed altre bibite a consumo. La gradita sorpresa del tour è che oltre all'acqua minerale, sempre a disposizione, una volta al giorno ci viene offerto vino o vodka.
Terminiamo con un dolce fatto con miele uova e farina, tradizionale nei banchetti dei matrimoni il "ciack ciack" e delle piccole meline, comperate da Flora, che sembrano quelle della Barbie.
Una breve sosta in piazza Mustakilic (dell'indipendenza), un giro senza fermarci in Piazza Amir Temur col teatro Navoi e poi piano piano ci dirigiamo verso la strada per Samarcanda, a due corsie di marcia e a doppia carreggiata.
Sono le 15,30 e fa molto caldo. L'impianto dell'aria condizionata funziona un po' di più di quello dell'altro pullman, ma poco.
Si suda. Mi viene da sorridere pensando che, col timore del getto freddo, nello zainetto questa mattina ho messo due golf, uno a maniche lunghe uno senza.
Il paesaggio della steppa è piatto: campi di cotone a perdita d'occhio e pochi alberi. Qualche casa bassa a fianco della strada. Alcune donne camminano lungo i sentieri: tutte portano un ombrello chiaro per proteggersi dai raggi del sole.
Alle 17,30 ci fermiamo ad uno dei posti di blocco che sono disseminati lungo la via, al passaggio fra una provincia e l'altra e all'entrata e all'uscita di ogni città.
La polizia controlla minuziosamente le poche auto che transitano mentre i bus turistici vengono graziati e passiamo indenni da controlli. A fianco di ogni garitta sei telecamere, tre girate in un senso e tre nell'altro, registrano il passaggio di chiunque. Dopo il blocco ci fermiamo. Attorno ci sono alcune costruzioni con abitazioni e case da tè. Flora, seguita da noi, scende in perlustrazione per scoprire se è disponibile un bagno praticabile per le signore, ma senza risultato. Qui l'acqua è preziosa, la campagna attorno è grande e un bagno come noi l'intendiamo non esiste.
Ci fermiamo davanti ad una delle costruzioni. Fuori sotto una tettoia degli scranni fatti come triclini per sdraiarsi e riposare all'ombra davanti ad una bibita, dentro la sala da tè vuota e disadorna con un bancone in un angolo senza niente esposto in vendita. Alcune lampade al neon emettono una fioca e spettrale luce. Lungo i muri ad una ventina di centimetri dal soffitto corre un cornicione dove le rondini, che svolazzano indisturbate, hanno fatto i loro nidi.
Passate alcune piccole stanze con un tavolo contornato da sedie di plastica e sgangherati letti disfatti c'è un cortile ed in fondo quello che doveva essere un orto, ora pieno di sterpaglie, al cui riparo possiamo accomodarci per i nostri bisogni.
Alle 18 ripartiamo. Mancano ancora 160 chilometri alla nostra meta.
Il paesaggio cambia, quando arriviamo alle ultime propaggini della catena del Pamir. Vediamo campi coltivati a frumento e più alberi. A fianco della strada incontriamo greggi e mandrie.
Il nostro viaggio sembra non dover mai terminare. Per ingannare il tempo Massimo, che viaggia non per lavoro ma per passione, ci racconta della prima volta che è venuto in Uzbekistan nel 1969, mentre Flora ci legge una serie di notizie sul paese e su Samarcanda.
Alle 20,30, dopo il tramonto, arriviamo all'hotel Afrosiyob Palace. Pochi minuti per una doccia e si cena, poi alle 22,30 appuntamento nella hall per una visita notturna al mausoleo del Tamerlano che si trova proprio di fronte al nostro albergo. Con una mancia di mille sum entriamo all'interno della costruzione che è completamente illuminato. Alle 23,30 rientriamo in albergo. Anche se domani non dobbiamo fare una lunga tappa in pullman abbiamo un intenso programma di visite.

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