Martedì, 22 novembre 2016.

Sono sicuro che mia moglie Betta sia contenta di questo mio viaggio. È la prima volta che parto da solo e l'ansia che normalmente mi prende in questi casi si è moltiplicata, anche perché il tragitto non è proprio semplice. Chi mi ha trascinato in quest'avventura è Michele, figlio di mio cugino Piersandro. Con lui ho fatto diverse crociere. Abbiamo navigato in tutti i mari attorno all'Italia tranne lo Ionio. Questa volta la meta è più esotica. Michele cercava una navigazione avventurosa tipo la traversata atlantica o raggiungere capo Horn ma poi ha trovato uno skipper italiano Massimo Gardelli che organizza un giro nei Caraibi su un Jeanneau Sun Odissey 51 piedi ed ha fissato una crociera attorno alle isole di Antigua e Barbuda. “Giovanni vieni anche tu?” Incontro Massimo a San Lazzaro e decido: vengo anch'io! Arrivare ad Antigua da Bologna, come ho già detto, non è tanto semplice, così mi affido, per non sbagliare, all'assistenza della Corcovado viaggi. Il volo per Antigua parte alle 10 del mattino da Londra e non c'è modo di raggiungere l'aeroporto in giornata. Bisogna anticipare la partenza di un giorno e prenotare il pernottamento a Londra. Come se non bastasse da Bologna gli aerei atterrano a Heathrow e l'aereo per Antigua parte da Gatwick. L'agenzia prenota un albergo davanti all'aeroporto e studio il modo per raggiungerlo. C'è un servizio di autobus gestito dalla National Express. Acquisto il biglietto su Internet. Scarico la app della British sul telefonino, riesco ad effettuare il check-in su tutti e due i voli: ho superato me stesso! Ma la sindrome della paura per il viaggio mi attanaglia. Preparo il bagaglio con tre giorni di anticipo e ci metto tutto quanto penso che possa servire, anche se sono sicuro che la maggior parte delle cose che sto prendendo non mi servirà, ma non si sa mai. Sono sicuro che avrò dimenticato qualche cosa di indispensabile. Ripasso mentalmente l'elenco ma non riesco a pensare ad altro. Ho fatto gli acquisti di quello che credevo mi occorresse ed ho speso una fortuna. Alle nove mia figlia Silvia è passata a prendermi per portarmi all'aeroporto. Sono in largo anticipo ma sembra che ogni cosa complotti per ritardare il nostro breve viaggio. Impieghiamo quasi un'ora per arrivare all'entrata delle partenze dell'aeroporto Marconi. Faccio incartare con la pellicola di cellophane il mio bagaglio che è una borsa floscia, dato che dovrà essere stivata in barca e la consegno al banco. La ritroverò a Londra e dovrò recuperarla per portarla in albergo. Dopo poco più di un'ora e mezza l'aereo, un Airbus 319, comincia la discesa per l'avvicinamento all'aeroporto di arrivo. Sotto di noi si scorge una spessa coltre di nubi che si dirada proprio davanti al centro di Londra. Scorgo distintamente il Tamigi e riesco ad individuare il centro della metropoli, tutt'attorno lunghe serie di piccole case addossate le une alle altre. Le indicazioni all'aeroporto sembrano ben congegnate, Il controllo dei passaporti è automatico ed aspetto davanti al nastro la riconsegna dei bagagli. Dopo pochi minuti arriva la mia borsa e mi dirigo all'uscita che dà su un ampio salone. Qui le indicazioni si fanno più rare e scelgo di dirigermi a destra: dalla parte sbagliata. Arrivato in fondo il grande salone chiedo dove si trovi la fermata della National Express che è esattamente dalla parte opposta. Faccio la fila davanti alla biglietteria per chiedere informazioni quando un addetto mi indica che devo uscire e portarmi alla fermata del bus numero 12. Ho un biglietto già pagato con l'orario fissato. Mi fanno salire ugualmente sul pullman in partenza: sono le 14,30. Il pullman prosegue verso sud ed il sole illumina la campagna. Arrivati a Gatwick si distinguono chiaramente i due alberghi davanti al terminal Nord e tutto attorno nulla. Il pullman mi scarica alla fermata numero otto. Vedo gli alberghi ma non riesco a raggiungerli. L'unica via pedonale è quella verso il terminal. Riesco a trovare un'indicazione del mio hotel che invita a dirigersi a destra. Purtroppo la seguo troppo presto e mi trovo dentro al parcheggio. Vedo l'albergo a pochi metri ma la strada è sbarrata. Torno indietro dove ho visto degli ascensori con l'indicazione: hotel. Salgo al primo piano ed attraverso un monumentale tunnel che mi porta dentro l'hotel Sofitel a fianco del mio albergo. Chiedo ad un inserviente come fare ad uscire dalla trappola invitante. Mi indica la strada accompagnandomi ad una scala mobile che mi riporta al piano terra davanti all'uscita.


Il Premier Inn mi appare più modesto ma è moderno, efficiente e pulito. Alle 16 sono in camera e adesso bisogna aspettare che arrivi domani. La tv non ha programmi sintonizzati in lingua italiana, non c'è un frigobar e fa un freddo cane: meno male che mi sono abbondantemente coperto.


Mercoledì, 23 novembre 2016.

La notte non passa mai. Ho spento la luce alle 21 e ogni due o tre ore sono sveglio. Con cocciutaggine resisto alla tentazione di tenere la luce accesa e ogni volta riesco a riaddormentarmi, sinché finalmente l'orologio segna un quarto alle sei. Mi preparo ed esco dall'albergo, raggiungo il terminal a piedi. L'agitazione gioca brutti scherzi. Non vedo nessuna indicazione per il check-in e la consegna dei bagagli. Seguo il flusso delle persone che mi porta davanti ad un controllo di sicurezza. Penso che abbiano raddoppiato i controlli e che questi vengano effettuati anche sul bagaglio da consegnare per l'imbarco, così entro appoggiando la mia carta sul lettore che si trova davanti alla porta di accesso, appena l'ho superata, mi accorgo di aver sbagliato: sui nastri vengono appoggiati solo i bagagli a mano. Riesco a far capire ad un addetto il mio errore. Mi fa uscire cancellando dalla memoria del computer il mio passaggio. Consegno il bagaglio all'estremità opposta del salone e mi fermo a fare colazione. Quando entro di nuovo ai controlli per la sicurezza ringrazio di addetti che mi hanno aiutato riuscendo a capire il mio preoccupato gesticolare. Nell'aeroporto l'attesa anziché ai gate di imbarco avviene in un grande salone contornato da negozi. Alle nove in punto, un'ora prima della partenza, compare il numero del gate sui tabelloni: è il 102, il più distante; è necessario percorrere un ponte che scavalca le piste di collegamento. Un Boeing 777 ci aspetta. Sono fortunato nell'aereo non ho nessuno accanto a me e posso spaziare sui tre posti della zona centrale della mia fila. Poco dopo le 10 l'aereo comincia a muoversi. Il cielo è coperto e il colore predominante è il grigio. Alle 12 ci servono il pranzo: pollo al curry con riso e cous cous. Le ore sono interminabili e non passano mai. Si possono vedere due film in lingua italiana ma sono uno peggio dell'altro. Risolvo una decina di sudoku. Di fianco a me si è seduto un uomo che pesa sicuramente più di 200 chili. Sono dovuto tornare nel mio posto e lasciargli i due che erano rimasti vuoti. Pian piano le ore passano e poco prima dell'atterraggio ci servono un panino al pollo immangiabile. Sono fra i primi a scendere e mi dirigo al controllo dei passaporti. Ho fatto per tempo il compitino di compilare l'assurdo questionario che un addetto ci ha consegnato in volo e comincio l'attesa della valigia che dopo poco arriva. La recupero e mi dirigo all'uscita. Qui gli addetti controllano minuziosamente ogni bagaglio aprendolo. Giunto il mio turno, forse perché la mia sacca è ben avvolta nel cellophane dalla partenza da Bologna, mi fanno passare senza aprirla e riesco ad uscire velocemente. Comincio a guardare i cartelli che sono in mano alle persone davanti all'uscita ma non riesco a vedere il mio nome anche perché mi aspetto di incontrare un uomo, come mi aveva detto Massimo. Poi ecco che una signora ha in mano un cartello dove scorgo il mio nome. La visione equivale a quella dell'angelo salvatore. Masha Riley è venuta a prendermi. Mi fa aspettare davanti all'uscita e mi carica in macchina. Qui la circolazione è a sinistra come in tutti i paesi anglosassoni ma tutti viaggiano nel centro della strada e mi sembra che il taxi debba scontrarsi ogni volta con l'auto che proviene dalla direzione opposta. L'isola appare misera con strade piene di buche e con piccole case di legno ad un piano. Dopo quasi un'ora arriviamo al Jolly Harbour marine. È laborioso trovare la barca. Masha mi fa salire lungo una scala chiocciola con i bagagli per portarmi davanti a quattro addetti della marina che sembrano non capire dove devo andare. Poi finalmente riusciamo a spiegarci e la direttrice del marine in persona, impietosita, mi presta un carrello e mi porta davanti alla barca Antigua dove Sonia, l'assistente dello skipper, mi aspetta. Attendiamo sino a sera all'arrivo dell'altra famiglia di ospiti. Federico, sua moglie Marianna e la figlia Laura di tre anni. Occupo la mia cabina e disfo la valigia e lo zaino. Un po' di chiacchiere per fare conoscenza poi saluto la compagnia che va al ristorante. Sono troppo stanco e desidero andare a letto.


Giovedì, 24 novembre 2016.

Durante la notte è piovuto a più riprese. Mi alzo prima delle sei ed esco a vedere l'alba. Il cielo sembra sgombro di nubi. Ma dopo pochi minuti si copre e comincia a piovere. Un bellissimo arcobaleno ci dà il buongiorno. Colazione e poi doccia.


Alle nove ci dirigiamo alla spiaggia ad ovest della marina. L'acqua è di un colore azzurro chiaro ma non è trasparente. La sabbia rimane in sospensione per le onde che si frangono vicino alla riva. Mi tuffo, l'acqua non è calda come a Boca Chica a Santo Domingo ma non dà la sensazione di freddo entrandoci. Sulla spiaggia giacciono tante conchiglie.

Mi metto a raccoglierle passeggiando lungo la riva per portarle ad Elisabetta, mia nipote. Laura sembra un pesce. Federico suo padre la lancia più volte in aria. “Ancora!”, grida ogni volta che riemerge. Alle 11 ritorniamo in barca. Sonia ci sta preparando una pasta al tonno che divoriamo accompagnandola con un ottimo malbec cileno. Per togliere il sale dalla pelle faccio una doccia ristoratrice nei bagni della marina. La porta è protetta da una serratura a combinazione, l'interno è pieno di zanzare. Alle 16 arriva Michele che trascina una grossa valigia. Adesso l'equipaggio è al completo, possiamo rifornire la cambusa. Poco distante c'è un supermercato. Sonia ha una lista di quello che, con l'esperienza maturata, ritiene necessario. Usiamo quattro carrelli per raccogliere le provviste. Impegniamo una cassa per parecchio tempo per fare il conto. Due inservienti ci aiutano a caricare tutto su altri carrelli con le ruote più grandi e ci accompagnano alla barca.

Siamo riusciti a spendere $ 750. Imponenti sono le provviste di acqua e succhi di frutta ma soprattutto quelle di vino. Per la cena di questa sera preparo delle cosce di pollo alla cacciatora che tutti divorano con appetito. Laura ha perso ogni timore nei miei confronti, mi racconta che ha quattro nonni e quello preferito é il nonno Baffo. Adesso afferma che ha un nonno nuovo: il nonno Giovanni!.

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