Venerdì 9 luglio 1999. Ore otto sveglia. Mi inoltro nel paese dove ieri ho visto un supermercato Conad e faccio la spesa per la navigazione: panini, affettato, e frutta. L’interno del paese é pieno di fiori con piccole villette molto curate. Il Comune ha appena fatto rifare l’acciottolato delle strade. Peccato che anche qui come a piazza Santo Stefano a Bologna si siano preoccupati di piantare i ciottoli fitti fitti senza curare che la parte superiore fosse quella più liscia, come sapevano fare i vecchi artigiani. Poggiando il piede si sentono tutte le punte dei sassi e camminare risulta difficile senza scarponi da montagna. Rientro a bordo con due enormi sporte di plastica. E’ arrivato il motorista per controllare la perdita di gasolio. Stringe due bulloni, non chiede nessun compenso. Gli siamo grati ma dubitiamo che l’intervento sia stato veramente risolutivo. |
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Partenza alle ore 10. Soffia la tramontana con una velocità di sei nodi. Issiamo subito la randa prima di uscire dall’imboccatura del porto e ci dirigiamo ad ovest per doppiare l’isola e portarci dalla parte opposta. La visibilità é ottima e la vista delle isole é addirittura migliore di ieri. Il motore perde ancora un poco di gasolio ma meno rispetto a ieri. Dato che il vento soffia a favore decidiamo di procedere solo a vela. |
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Doppiamo capo Sant’Andrea e costeggiamo la parte più impervia dell’isola. Non ci sono possibili approdi se non poche lingue di sabbia raggiungibili solo da mare. La costa é battuta dalle libecciate che erodono continuamente la montagna. Molto graziosi ci appaiono i paesi di Chiessi e Pomonte che sembrano veramente sperduti. Solo da pochi anni la strada li congiunge col resto dell’isola. Ci domandiamo come potessero sopravvivere gli abitanti: pochi vigneti alle spalle e davanti un mare spesso in tempesta che non consente di avere un approdo sicuro per la pesca. Ora il vento cambia e comincia a soffiare il grecale e rinforza sino a dodici nodi. Doppiamo la punta di Fetovaia e ci avviciniamo alla costa per poterci ancorare nel golfo di Barbatoia. Molte barche sono alla fonda e la baia offre un riparo, anche se non completo, dal vento. Ci portiamo al centro per iniziare la manovra per ancorarci ma il verricello non vuole proprio mettersi a funzionare. Probabilmente gli sforzi di Bigazzi per disincagliare l’ancora a Porto Ferrario hanno colpito ancora negativamente. Siamo incerti se manovrare a mano l’ancora perché calare trenta metri di catena e poi issarli a bordo non é impresa di poco conto. Una folata di vento più forte ci fa desistere, dirigiamo a motore controvento verso Marina di Campo. Avanziamo adagio, a ridosso della costa per tenerci riparati dal vento. A Marina di Campo non c’é un vero e proprio porto ma tre piccoli moli e non sono riparati da grecale. Non possiamo calare l’ancora. Speriamo di poterci ormeggiare a fianco della lancia della Polizia Penitenziaria che ha qui di stanza tre motovedette per i collegamenti con l’isola di Pianosa. Ora il carcere dell’isola, che era di massima sicurezza, é stato chiuso e le motovedette non sono più utilizzate di continuo ma rimangono per garantire il collegamento con i pochi militari rimasti di guardia all’isola che é stata dichiarata riserva naturale. La manovra d’attracco riesce solo perché a comandare la motovedetta della Polizia Penitenziaria c’é Incatasciato che conosce Piersandro per averlo incontrato più volte in occasione di alcune regate, lo riconosce subito appena lo vede ed accorre con tutti gli uomini in nostro aiuto. La colpa della cattiva manovra é soprattutto mia che sono in ritardo sugli ordini che mi dà il comandante. "Lancia la cima d’attracco!" Ma non vedo nessuno pronto ad afferrarla sulla motovedetta nel punto in cui posso lanciarla. La lancio ugualmente sperando che si fermi sulla barca. Si ferma pochi secondi ondeggiando sulla battagliola e poi scivola tristemente in acqua perché la nostra barca comincia ad indietreggiare. "Prendi il mezzo marinaio!" Dove l’ho messo? E mi rendo conto di non averlo preparato per tempo: é ancora legato al corrimano della barca. Cerco di afferrarlo e... "Ferma la barca. Cazzo!" Mi giro e vedo che, mentre quando mi sono voltato la barca stava indietreggiando e credevo di avere alcuni secondi a disposizione per correggere il mio errore, ora ha cambiato improvvisamente direzione e punta con velocità contro la motovedetta e mancano pochi attimi allo speronamento. Incatasciato é prontamente ricomparso sul fianco della motovedetta assieme ad un marinaio ed in tre riusciamo ad evitare l’impatto. L’amico di Piersandro resiste al dolore anche quando un gancio del pulpito di prora del Sestante gli entra nel polso sinistro. "Con un poco di acqua ossigenata passa tutto", sentenzia mostrando il graffio, segno del gesto eroico. |
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Terminate le operazioni di attracco il capitano parte solitario sul canotto d’appoggio e raggiunge una caletta per il bagno. L’equipaggio riordina la barca e pensa di aver terminato il proprio turno di lavoro. Ma al rientro il capitano ordina una esercitazione: con brusca, detersivo ed acqua bisogna lavare la coperta dell’imbarcazione. Accettiamo di buon grado. Con la penuria d’acqua che c’é, é la sola occasione di fare una doccia. Alla fine dell’operazione il più lavato non é la barca ma l’equipaggio. |
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Passeggiamo nel paese, la parte vecchia é sopra al porto con strade in salita ed a gradoni. Dopo pochi metri la vista é stupenda. La parte nuova si distende lungo il golfo ove si trova una lingua di spiaggia sabbiosa, cosa rara da queste parti. Cena a base di pesce, ordiniamo due porzioni di grigliata, ma quando ce le portano sembra la porzione per mezza persona. Dopo la consueta passeggiata del dopo cena, torniamo tutti in barca. Il vento si sta calmando. A Bologna piove e qui si vedono solamente le propaggini estreme della perturbazione che sta passando. |
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