Sabato 10 luglio 1999.

La giornata prevede l’imbarco dei coniugi Danesi (Carlo e Milva) e di un loro amico Alberto Tedeschi che vengono da Cavo. L’appuntamento é per le 8,30. Trovo il tempo di fare una passeggiata mattutina per le vie del paese vecchio e di scattare alcune foto. Alle nove siamo già pronti. Molliamo gli ormeggi e partiamo diretti all’isola di Pianosa. Non abbiamo avuto conferma del permesso di sbarco nell’isola che ospitava una colonia penale poi un carcere trasformato negli ultimi anni in carcere di massima sicurezza ed ora abbandonato.

La giornata é splendida, il mare é piatto. Una piccola tartaruga sale alla superficie proprio davanti a noi e rimane sorpresa dall’arrivo della nostra imbarcazione.

L’isola di Pianosa é l’unica nell’arcipelago a non avere un’altezza sul mare superiore ai 30 metri. E’ un grande pianoro roccioso a fianco di isole sorelle che hanno tutte cime montagnose.

Da lontano i contorni dell’isola si notano a fatica. Quando siamo ormai sotto costa, ci viene incontro la lancia della Guardia Costiera: non sa del nostro arrivo e stenta a riconoscere nel battello un’imbarcazione della Marina Militare. Chiede istruzioni via radio ed il comandante Bassi avverte che ci aspetta in banchina.

Attracchiamo al pontile per i traghetti e, scortati dal comandante, visitiamo la parte civile dell’isola che comprende i vecchi fabbricati napoleonici man mano trasformati in colonia penale. Al di là di una orrenda muraglia che taglia in due il promontorio c’é il carcere o meglio gli edifici che lo componevano e rimangono lì, alcuni nuovi e mai utilizzati, a dimostrazione dello scempio e della imprevidenza degli uomini.

Nel giro di poche ore qualcuno ha deciso che mantenere il carcere nell’isola era troppo costoso per l’erario ed ha abbandonato tutto. L’isola ospitava duemila persone ora ce ne sono a malapena poche decine. E’ stata dichiarata parco naturale e la Lega Ambiente si occupa di proteggerla. Una ventina di iscritti presidiano l’isola prendendo il sole e facendo il bagno nella meravigliosa baia a fianco dell’ormeggio.

Finita la visita alle costruzioni al di qua della muraglia, brindiamo coi nostri ospiti sul molo e ci accingiamo a partire. Milva ha un’idea luminosa e rinfrescante: chiede se ci possiamo ancorare nella baia e fare il bagno.

Avuto il permesso, nell’isola é proibito ancorarsi, ci stacchiamo dall’ormeggio dei traghetti e ci fermiamo nella baia. Il fondo é sabbioso e l’acqua cristallina. A nuoto raggiungiamo la riva e passeggiamo sulla spiaggia. Purtroppo ho dimenticato a bordo i sandali di plastica e non riesco a raggiungere gli scavi delle terme romane che sono all’estremità della baia.

Faccio un tentativo ed arrivo a poche decine di metri dalla meta ma non ho i calli sotto i piedi e ogni piccola pietruzza mi fa sentire dolore.

Ritorno sui miei passi saltellando goffamente. Al mio fianco si erge l’orribile e l’inutile muro di cinta della zona penitenziaria. E’ tutto in cemento dipinto di verde, con una base di quattro metri ed alto sei, sinistro ed irreale sovrasta tutta la zona.

I nostri ospiti non solo sono stati così bravi e gentili da sostituire l’argano in avaria per gettare l’ancora ma ripetono l’operazione per salparla.

Giriamo tutt’intorno all’isola che é un paradiso per conigli e pernici. Vediamo distintamente centinaia di uccelli appollaiati sulla costa, poi sfreccia veloce una specie di anatra che si ferma sulle onde assieme ad altri esemplari uguali. Si tratta di cormorani che si immergono per la pesca. Risalgono alla superficie dopo alcuni minuti. In lontananza le loro teste sembrano i periscopi di altrettanti sommergibili.

Completato il giro dell’isola rientriamo a Marina di Campo e ci ormeggiamo nello stesso posto occupato ieri. Secondo gli ordini del comandante, mi sono vestito tutto di bianco, come un gelataio, osserva Carlo ordinando un cono alla crema. Stringo il mezzo marinaio in mano e sono determinato a non ripetere gli errori di ieri. Manovra quasi perfetta: "Il mezzo marinaio si aggancia in basso sul candeliere e non a metà!" osserva Danesi, ma solo lui se ne accorge e posso vantarmi di avere dato un contributo determinante per l’accostamento da manuale alla motovedetta della Guardia Penitenziaria.

Salutiamo Alberto, Carlo e Milva. Ritornano a Cavo e li raggiungeremo con la barca domani sera.

Ceniamo da Locman, un ristorante gestito da una società che ha anche un’oreficeria che produce gli orologi con lo stesso marchio. Antipasto misto di pesce, risotto di cappesante con fragole, una gallinella arrosto, il tutto annaffiato da un’ottima bottiglia di prosecco.

Siamo stati accompagnati e presentati al gestore del locale dal marinaio di guardia alla motovedetta e per noi il prezzo é scontato, mentre negli altri tavoli i clienti di passaggio impallidiscono all’arrivo del conto.

Facciamo un brindisi a bordo assieme alle guardie che ci hanno dato la possibilità di gustare un’ottima cena e poi tutti a dormire. Ci aspetta una nuova giornata di crociera che per me sarà l’ultima.

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