Sabato 20 novembre 2010
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Un nuovo breve spostamento in pullman ed arriviamo al tempio Ta Prom. Qui un gigantesco albero parassita ha avvolto parte del tempio con le sue radici come una piovra. Entriamo dalla parte opposta a quella seguita dalla maggior parte delle guide ed abbiamo qualche difficoltà nel procedere controcorrente. |
All'uscita troviamo un numero incredibile di autobus e districarsi dall'ingorgo richiede molta abilità e pazienza da parte del nostro autista.
Scendiamo davanti al tempio di cristallo (Ta Keo). Il tempio ha delle proporzioni molto belle e non è stato terminato: le pietre non sono state scolpite.
Giriamo attorno alla costruzione senza entrarci e ripartiamo diretti alla città di Angkor Thom. Ci fermiamo davanti alla porta della Vittoria in attesa di due pulmini più piccoli perché al nostro mezzo non è consentito entrare: non passerebbe attraverso le porte di ingresso.
A destra ammiriamo il tempio di Thommanon e a sinistra il Chao Say Tevoda. Coi due mezzi arriviamo al tempio Bayon, situato al centro della città, circondato da un fossato pieno d'acqua.
Splendidi i bassorilievi sui muri delle gallerie che narrano la guerra contro i Cham e raccontano la vita quotidiana del popolo Khmer.
Alle 13 siamo in pullman per ritornare in albergo. Sono completamente fradicio. Faccio una veloce doccia e mi cambio. Ci aspetta un raffinato pranzo cambogiano con due antipasti, una zuppa, un arrosto di maiale e come dolce tre palle fritte di consistenza gommosa da mangiare con una salsa di soia o col miele.
Betta resta in camera a riposare e alle 15 ripartiamo per visitare Ankor Wat. |
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Il cielo si è coperto completamente di nubi, ma non minaccia pioggia. Attraversiamo il terrapieno, gettato attraverso il fossato che lo circonda, per arrivare alla porta del tempio induista, la cui costruzione è iniziata nel 1112. In seguito è stato trasformato in un tempio buddista. |
L'ingresso guarda ad ovest ed è l'unico tempio con questo orientamento in Cambogia. Entriamo dalla porta situata a destra di quella centrale per vedere la statua di Visnù con otto braccia, per poi passare nel grande cortile diviso in due da un terrazzamento con balaustre. Cinque scale da una parte e cinque dal lato opposto lo collegano al cortile. |
Il tempio è formato da tre distinti livelli. Sulla parete della galleria che corre lungo i quattro lati del primo livello, in un lunghissimo bassorilievo, scene della mitologia indiana con la descrizione della guerra fra le divinità e i demoni, che la nostra guida si dilunga a raccontare con dovizia di particolari. Saliamo al secondo livello e giriamo attorno al torrione. Quattro ripidissime scalinate permettono di accedere al terzo livello. Dalla parte est è stata costruita una rampa in legno più agevole per salire. |
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Il panorama della giungla che si gode dal tempio compensa la fatica fatta. Mentre stiamo completando il giro lungo i corridoi esterni, i sorveglianti ci invitano a scendere perché il tempio sta chiudendo. Ci apprestiamo a raggiungere la collina Phon Bakhgenengh per ammirare la vista ed il tramonto. Ormai è troppo tardi e non si può più accedervi. Il buio ai tropici arriva velocemente ed il sentiero non è illuminato. |
Domenica 21 novembre 2010
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Saliamo in pullman e percorriamo i quaranta chilometri che ci separano da Banteay Srei, un elegante complesso di templi dedicato a Shiva. Racchiuso da una cinta di mura e da un fossato pieno d'acqua che circonda la parte centrale dove spiccano i tre templi dedicati a Shiva, Vishnu e a sua moglie Lakshmi. |
La pietra arenaria è decorata con fini sculture dove le figure si mescolano agli elementi decorativi. Ci fermiamo per visitare il tempio di Pre Rup che era il programma ieri, ma visto il timore che qualcuno aveva espresso per la salita, la nostra guida ha posticipato ad oggi questa visita prevedendo che saremmo stati più allenati. |
Il tempio si sviluppa più in altezza che in larghezza o lunghezza e offre dall'alto un bel panorama sulla foresta che circonda i templi. Gli scalini si dimostrano particolarmente alti e ripidi. Non ci si può distrarre e qualcuno di noi rotola malamente battendo la schiena e la tempia, per fortuna senza gravi conseguenze. |
Oggi le nuvole sono sparite e i raggi del sole si fanno sentire. Apro l'ombrello per ripararmi. Pen regala a tutti un sacchetto di semi di fiori di loto appena raccolti. Dobbiamo farli seccare al sole. Quindi mettere in un recipiente stagno dieci centimetri di terra, disporvi sopra cinque o sette semi e ricoprire con due dita di sabbia. Il numero deve essere dispari per la buona riuscita della semina. Infine aggiungere altre cinque dita d'acqua. Dopo due settimane i semi si schiudono. Quando la pianta fa il fiore bisogna cambiare metà dell'acqua affinché la pianta continui a fiorire. Alle 11 ripartiamo per tornare in città e visitare la scuola di artigianato: Angor Arts and Crafts (pittura, tessitura, laccatura e scultura). Naturalmente c'è anche il negozio per fare acquisti per la gioia delle signore che devono acquistare un ricordino. Alle 12,30 siamo in albergo per liberare le stanze e pranzare. Due ore dopo partiamo diretti al lago Tonle Sap, grande più di tremila chilometri quadrati ma poco profondo (massimo nove metri) che funziona come un'enorme riserva d'acqua. Quando il Mekong è in piena l'acqua scorre verso il lago, quando è in secca scorre in senso inverso. Saliamo su un barcone. Poco dopo la partenza veniamo abbordati da una piccola lancia a motore. Una bimba salta a bordo con un cesto di bibite ma fa pochi affari e nonostante ciò deve pagare la tangente ad uno dei ragazzini che a bordo svolge i servizi. Poco dopo altre piroghe con a bordo bambini nudi con serpenti avvolti al collo per suscitare il nostro stupore e farsi fotografare. La richiesta è di due dollari. Lungo le rive del canale sono attraccate barche casa. I bambini giocano nell'acqua e usano la grossa ciotola che serve per lavare i piatti come barca. Usciamo dal canale per vedere la grande distesa d'acqua del lago, poi la barca vira e torna indietro. Siamo di nuovo letteralmente assaliti da barche piene di questuanti che sfruttano ogni possibile motivo di compassione od attrattiva. Ci fermiamo a fianco di una chiatta che ospita un allevamento di coccodrilli e uno di pesci gatto. Non manca un bazar e un piccolo museo sulla vita di pesca sul lago. Poco prima delle 17 torniamo all'imbarcadero e riprendiamo il pullman per tornare in albergo. La cena è fissata per le 18,30 ma le porte del ristorante si aprono con mezz'ora di anticipo e così la maggior parte di noi si dirige a tavola. “Dato che tutti se ne sono andati, seguiamoli” propongo a Betta. “Non vorrai cenare così presto?” e indispettita si alza. L'anticipo dell'orario si rivela strategico. Dopo pochi minuti arriva la marea di asiatici che in quattro e quattr'otto vuota tutti i piatti. Alle 19,15 partiamo diretti all'aeroporto che raggiungiamo in pochi minuti. Salutiamo Panika e gli esterniamo tutta la nostra riconoscenza per averci guidato con entusiasmo e pazienza. Maria pensava di dover fare un check-in collettivo e si era preparata ritirando tutti i passaporti, ma l'imbarco è individuale e c'è fra di noi chi trova qualche difficoltà a far passare il bagaglio che segna al peso 58 chilogrammi in due. Paghiamo la tassa di uscita dalla Cambogia di 25 dollari e passiamo al controllo dei passaporti. Qualcuno si è dimenticato di compilare il foglio di uscita col numero del volo e la destinazione e viene rimandato indietro a svolgere il compitino. Anche qui come è successo all'entrata veniamo accuratamente schedati. Il nostro passaporto viene scannerizzato e i nostri volti fotografati. Il volo è in ritardo di più di un'ora e ci prepariamo all'attesa. Ci imbarchiamo e partiamo con qualche minuto di anticipo sull'ora annunciata. L'aereo è nuovo e quasi vuoto. Siamo in cinquanta in un veivolo che ha una capienza di duecento posti. Le hostess hanno modi sbrigativi e non sorridono mai. Alle 23,30 iniziamo le operazioni per ottenere i visti. Abbiamo già un preassenso collettivo. Maria ritira i passaporti e i questionari con le foto che abbiamo compilato in attesa del volo, li passa ai funzionari e dobbiamo ripresentarci dalla parte da cui siamo arrivati per ritirarli. Sembra che i percorsi aeroportuali ad Hanoi siano stati studiati per complicare le cose. La nostra accompagnatrice raccoglie i 25 dollari a testa per pagare i visti e poi cominciano ad apparire i primi passaporti per essere distribuiti. L'aeroporto è deserto e ci illudiamo di aver terminato le formalità: si materializzano dal nulla cinque funzionari che registrano i nostri dati. Le valige sono già state scaricate dal nastro trasportatore e siamo gli unici passeggeri in transito. E' già passata mezzanotte e vorremmo uscire al più presto, raggiungere l'albergo per riposare. Un signore magro con la camicia rossa gesticola al di là del vetro per attirare la nostra attenzione e ci fa cenno che dobbiamo ritornare indietro per uscire: si tratta della nostra guida. Van parla con accento milanese e fa una battuta dietro l'altra sconcertando Maria. Qualcuno gli chiede che tempo farà domani. Risposta: “Quel che l'è l'è!” Raccomanda a tutti la massima puntualità: “ Se qualcuno ritarda io taglio il programma!” A mezzanotte e mezza iniziamo a percorrere i 35 chilometri che ci separano dalla nostra meta, il Silk Path Hotel. Le operazioni di distribuzione delle chiavi e della consegna delle valige si svolgono rapidamente e alle due spegniamo la luce. |
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